Il 16 novembre 2025 cade un anniversario speciale: quindici anni fa la Dieta Mediterranea veniva riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Non un semplice “modello alimentare”, ma un insieme vivo di saperi, pratiche, relazioni sociali e valori che attraversano le comunità del Mediterraneo e che, nel tempo, hanno trovato riconoscimento anche da FAO e OMS. Festeggiare questo traguardo significa guardare alla Dieta Mediterranea per ciò che è davvero: uno stile di vita – “diaìta”, direbbero i Greci – capace di migliorare la salute delle persone, tutelare la biodiversità, valorizzare le culture locali e indicare una via concreta verso la sostenibilità.

La forza della semplicità

La forza della Dieta Mediterranea sta nella sua semplicità apparente: ingredienti freschi e di stagione, prevalenza di vegetali, cereali integrali, legumi, olio extravergine d’oliva, uso moderato di alimenti di origine animale, convivialità intorno alla tavola, tempo dedicato alla preparazione domestica dei pasti. Eppure, proprio questo patrimonio, oggi, appare a rischio. Negli ultimi dieci anni l’adesione al modello mediterraneo è diminuita in modo costante, anche nelle aree dove è nato, con livelli medi che non superano la metà della piena conformità. È un fenomeno complesso, spiega la presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), la professoressa Anna Tagliabue: contano le trasformazioni culturali e ambientali, i mutamenti delle economie agricole e delle politiche alimentari, la difficoltà di reperire cibo fresco e accessibile, i tempi stretti che complicano la cucina di casa. A queste cause strutturali si sommano tendenze globali che tutti tocchiamo con mano: urbanizzazione, flussi migratori, insicurezza alimentare, e una vera e propria esplosione di prodotti ultraprocessati, comodi e ovunque disponibili, ma poveri di valore nutrizionale.

Il segnale più preoccupante arriva dai giovani: bibite zuccherate, snack e fast food stanno erodendo lo spazio degli alimenti tradizionali, con un impatto diretto sulla qualità complessiva dell’alimentazione. L’ultimo rapporto UNICEF “Feeding Profit: How Food Environments are Failing Children” lancia un allarme inequivocabile: nel 2025 l’obesità tra bambini e adolescenti tra i 5 e i 19 anni ha raggiunto il 9,4%, superando per la prima volta la quota dei minori sottopeso (9,2%). Parliamo di circa 188 milioni di giovani con obesità nel mondo, e di un bambino su cinque in eccesso ponderale, con il peso maggiore che ricade nei Paesi a basso e medio reddito. Anche in Italia la consapevolezza è cresciuta al punto che dal 1° ottobre 2025 l’obesità è stata riconosciuta ufficialmente come malattia cronica. In questo contesto, la Dieta Mediterranea non è nostalgia: è una risposta pragmatica, “una cucina domestica fatta di ingredienti semplici, freschi e stagionali, radicata nei territori e tramandata tra generazioni”, come ricorda la dottoressa Marialaura Bonaccio del Gruppo di Lavoro SINU dedicato allo studio e alla promozione di questo modello.

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Un patrimonio da riscoprire

Riscoprire la Dieta Mediterranea significa dunque difendere un sistema integrato e resiliente, capace di rispondere insieme alla crisi sanitaria e a quella ambientale. Vuol dire educazione alimentare nelle scuole e nelle famiglie, accesso facilitato a cibi freschi e locali, sostegno alle comunità perché conservino e trasmettano le proprie tradizioni culinarie. Ma significa anche rendere questo stile praticabile nella vita di tutti i giorni, con gli strumenti del presente. Non un cimelio da proteggere sotto vetro, ma una risorsa viva, da rilanciare e adattare alle sfide del XXI secolo.

Per accompagnare questo rinnovamento culturale, la SINU ha elaborato a maggio 2025 una nuova rappresentazione della Piramide alimentare: un riferimento chiaro e aggiornato, pensato per professionisti e cittadini, che mette al centro un’alimentazione plant-based, moderna e rispettosa dell’ambiente. Intorno a questa cornice, si possono innestare scelte quotidiane semplici e realistiche. Si comincia dalla dispensa: tenere a portata di mano olio extravergine d’oliva, pomodori pelati, legumi secchi o in barattolo (meglio in vetro), pasta e riso integrali, farro, cereali in chicco, insieme a un piccolo corredo di erbe e spezie del territorio – origano, basilico, rosmarino – rende naturale orientarsi verso piatti sani e coerenti con la tradizione mediterranea. È un gesto organizzativo che abbassa l’attrito e, di fatto, “spinge” la scelta giusta.

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Cosa fare nel quotidiano

La spesa settimanale diventa così un alleato: se la lista privilegia frutta e verdura fresche di stagione, pesce azzurro come alici, sgombro e sardine, yogurt bianco, uova, carni bianche, formaggi freschi come ricotta e mozzarella, pane integrale o ai cereali, il frigorifero suggerirà spontaneamente ricette in linea con il modello mediterraneo. Quando possibile, scegliere prodotti locali e di filiera corta significa ridurre l’impatto dei trasporti, sostenere l’economia del territorio e guadagnare in freschezza e sapore: un circolo virtuoso dove salute, qualità e sostenibilità coincidono.

Il nodo del tempo – vero spauracchio della cucina quotidiana – si scioglie con un minimo di pianificazione. Un menù settimanale, costruito seguendo le frequenze suggerite dalla Piramide SINU e tarato sulle preferenze di casa, evita la trappola della domanda “e stasera cosa cucino?”, limita le scelte impulsive, abbassa lo stress. Non deve essere rigido: basta una traccia che orienti la spesa e le preparazioni. In questo percorso, la tradizione è un serbatoio generoso: zuppe di legumi e cereali, paste semplici con ortaggi di stagione, insalate di farro, verdure al forno, polpette di ceci, sformati di ricotta e spinaci. Riprendere le ricette di famiglia – magari alleggerendole o adattandole – trasforma la cucina in un gesto creativo e conviviale, capace di coinvolgere bambini e ragazzi e di restituire senso al tempo passato ai fornelli.

Anche gli spuntini possono essere mediterranei senza complicazioni: frutta fresca o secca a guscio come noci e mandorle, uno yogurt naturale, una fetta di pane con olio e pomodoro racchiudono gusto, sazietà e nutrienti di qualità. Per i giorni più pieni, la strategia del “cucinare in doppia dose” è risolutiva: legumi, cereali e verdure richiedono spesso tempi più lunghi, ma se si prepara una quantità maggiore, porzionandola e conservandola in frigorifero o freezer, si costruisce una riserva di basi pronte da trasformare in pochi minuti. Un minestrone si fa primo piatto oggi e diventa crema per domani; ceci cotti in abbondanza saranno hummus, zuppa o condimento per la pasta; il farro lessato, con le verdure saltate, si trasforma in un’insalata tiepida completa.

Il sapore, nell’immaginario mediterraneo, nasce da gesti semplici e aromatici. Tenere pronto un piccolo “kit” profumato – cipolla, aglio, sedano, carota e prezzemolo tritati e conservati in contenitori in frigo o freezer – permette di avviare in pochi secondi sughi, minestre e contorni, riducendo anche l’uso di sale grazie alla ricchezza di odori. E se la parola d’ordine è efficienza, la tecnologia non è una nemica del “buon mangiare”: una friggitrice ad aria per ottenere verdure croccanti con pochissimo condimento, una pentola a pressione per portare i legumi pronti in mezz’ora, un robot da cucina per tritare, impastare e frullare, sono strumenti che fanno risparmiare tempo e fatica senza tradire lo spirito della Dieta Mediterranea. A questa logica risponde anche il “piatto unico”: un’insalata di farro con verdure e feta, una pasta con ceci e spinaci, un cous cous di verdure e pesce azzurro racchiudono in una sola preparazione carboidrati complessi, proteine di qualità, fibre e grassi “buoni”. Meno stoviglie, tempi ridotti, impatto ambientale più basso: la sostenibilità, qui, è pratica quotidiana.

Mangiare insieme agli altri

Resta, infine, la dimensione che più caratterizza il nostro stile: mangiare insieme. La Dieta Mediterranea è anche socialità, lentezza, educazione del gusto. La tavola condivisa rallenta il ritmo, migliora la qualità delle scelte, sostiene il benessere psicologico. È il luogo dove i più piccoli imparano con l’esempio, dove si costruiscono abitudini durature, dove si spegne lo schermo e si accende la conversazione. Non è un dettaglio romantico: è parte integrante dell’equilibrio che questo modello promuove.

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