La melatonina è entrata nelle case come un alleato “naturale” del sonno. Un ormone che l’organismo produce nel buio, commercializzato anche in capsule e gocce per gestire insonnia e jet lag. Ma un’analisi su grandi numeri presentata alle Scientific Sessions 2025 dell’American Heart Association (AHA), in programma dal 7 al 10 novembre a New Orleans, suggerisce che l’uso prolungato — oltre l’anno — potrebbe associarsi a un rischio più alto di diagnosi di scompenso cardiaco, maggiori ricoveri per scompenso e un aumento della mortalità per tutte le cause nei pazienti con insonnia cronica.
È un risultato preliminare, da confermare con ulteriori ricerche, ma sufficiente a invitare prudenza, soprattutto in chi tende ad assumere il supplemento per periodi lunghi senza un’indicazione precisa.
Ritmi sonno veglia
Per capire il contesto: la melatonina, sintetizzata nella ghiandola pineale, regola i ritmi sonno-veglia e cresce nelle ore notturne per poi calare alla luce del giorno. Le versioni “da banco”, chimicamente identiche a quella endogena, sono facilmente reperibili in molti Paesi. Negli Stati Uniti, dove i supplementi non sono regolati come i farmaci, esistono differenze di dosaggio e purezza tra le marche; nel Regno Unito invece è un prodotto soggetto a prescrizione. Proprio questa doppia natura — farmaco in alcuni contesti, integratore in altri — rende difficile tracciare con precisione come e quanto venga usata.
Il gruppo di ricerca ha lavorato su una rete internazionale di cartelle cliniche elettroniche (TriNetX Global Research Network), selezionando adulti con diagnosi di insonnia cronica. Chi aveva un uso documentato di melatonina per almeno 12 mesi è stato inserito nel “gruppo melatonina”; chi non presentava alcuna traccia del supplemento nella propria documentazione medica è stato considerato “non utilizzatore”. Per ridurre i bias, i ricercatori hanno escluso i pazienti con una precedente diagnosi di scompenso o con prescrizioni di altri ipnoinducenti e hanno abbinato gli individui dei due gruppi sulla base di ben 40 fattori, tra cui età, sesso, comorbidità cardiovascolari e neurologiche, farmaci assunti, pressione arteriosa e indice di massa corporea.
Aumenta il rischio scompenso cardiaco
I numeri, pur letti con cautela, colpiscono. Nell’arco di cinque anni, tra gli adulti con insonnia l’uso prolungato di melatonina si è accompagnato a una probabilità di nuova diagnosi di scompenso cardiaco più alta di circa il 90% rispetto ai non utilizzatori, con un’incidenza del 4,6% contro il 2,7%. Una seconda analisi, più stringente, che richiedeva almeno due prescrizioni distanziate di 90 giorni, ha confermato un incremento del rischio nell’ordine dell’80%. Nei risultati secondari, gli utilizzatori a lungo termine sono stati quasi tre volte e mezzo più frequentemente ricoverati per scompenso (19% contro 6,6%) e hanno mostrato una mortalità per tutte le cause quasi doppia (7,8% contro 4,3%) nel medesimo periodo di osservazione. «La melatonina è percepita come sicura e “naturale” — è il senso del commento degli autori — ma l’entità e la coerenza di questi esiti meritano attenzione clinica».
Un monito arriva anche dagli esperti di sonno dell’AHA: negli Stati Uniti la melatonina non è indicata come trattamento dell’insonnia e, proprio perché venduta senza ricetta, molte persone la assumono per mesi o anni senza una valutazione medica, magari inseguendo un miglioramento che non arriva. Vale la pena ricordare che l’insonnia cronica è una condizione complessa, spesso intrecciata con ansia, depressione, dolore, disturbi respiratori del sonno e abitudini scorrette, e che i percorsi di cura efficaci prevedono diagnosi differenziale, igiene del sonno e terapie non farmacologiche come la CBT-I (terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia), a cui eventualmente affiancare farmaci con indicazioni e durata ben definite.
Naturalmente, i limiti del lavoro contano. Trattandosi di uno studio osservazionale su dati real-world, l’associazione non implica un rapporto di causa-effetto. È possibile che chi ricorre alla melatonina per più di un anno presenti insonnie più severe o altri fattori non misurati — come disturbi d’ansia, depressione o uso di ulteriori sostanze favorenti il sonno — che aumentano di per sé il rischio cardiovascolare. C’è poi la questione del tracciamento: nei Paesi in cui il prodotto è da banco, molte assunzioni non compaiono nelle cartelle cliniche e i consumatori “silenziosi” finiscono automaticamente nel gruppo dei non utilizzatori, con il rischio di attenuare o distorcere i confronti. Anche le differenze regolatorie tra Paesi e la possibile eterogeneità dei dosaggi in vendita complicano l’interpretazione. Perfino il dato sui ricoveri può risentire della codifica amministrativa: un episodio di scompenso può essere registrato con voci diverse, non sempre sovrapponibili a una prima diagnosi.
Massima cautela
Detto questo, il segnale statistico resta robusto e, in attesa di studi prospettici randomizzati, suggerisce alcune indicazioni pratiche. Prima di iniziare o prolungare l’assunzione di melatonina, soprattutto se si hanno fattori di rischio cardiaco o sintomi come affanno e gonfiore alle caviglie, è opportuno confrontarsi con il medico. In caso di insonnia cronica, la strada maestra resta una valutazione strutturata, che può portare a interventi mirati sul comportamento e sull’igiene del sonno, alla diagnosi di eventuali apnee o di sindrome delle gambe senza riposo, e solo se necessario all’uso di terapie farmacologiche con dosi e tempi chiari. Per chi già utilizza melatonina da molto tempo, non è indicato sospendere bruscamente senza consiglio specialistico: meglio discutere un piano di riduzione e, soprattutto, le alternative.
Infine, un punto più generale. In salute pubblica “naturale” non significa automaticamente “innocuo”. Anche un ormone endogeno, se assunto a dosaggi non standardizzati e per periodi lunghi, può avere effetti indesiderati, specie in persone con vulnerabilità cardiovascolare. L’attenzione sollevata da questo studio non demonizza la melatonina, che in indicazioni specifiche e per brevi periodi può essere utile; piuttosto invita a spostare il baricentro dalla soluzione facile alla gestione competente dell’insonnia. La promessa, oggi, è quella di ulteriori ricerche in grado di chiarire se l’associazione osservata nasconda un nesso causale, quali dosi e durate siano davvero sicure e per quali pazienti. Fino ad allora, il consiglio è di affidarsi a percorsi validati e di considerare i supplementi come ciò che sono: strumenti da usare con criterio.


