Una nuova ricerca pubblicata su Nature Communications ha scoperto che le nanoplastiche, in particolare quelle di polistirene, possono compromettere la salute intestinale alterando le interazioni tra i batteri del microbiota e le cellule dell’intestino.
I risultati suggeriscono che queste particelle invisibili influenzano l’ambiente intestinale in modo sottile ma profondo, interferendo con i meccanismi cellulari e le difese naturali dell’organismo.
Cosa sono le nanoplastiche e dove si trovano
Le nanoplastiche sono frammenti di plastica con dimensioni inferiori a 1 micrometro, derivati dalla frammentazione di rifiuti plastici più grandi o prodotti direttamente in dimensioni così ridotte. Sono ancora più piccole delle microplastiche (che vanno da 1 µm a 5 mm) e per questo motivo riescono a penetrare nei tessuti, superare barriere biologiche e persino entrare nelle cellule.
Queste particelle si trovano ovunque: nell’aria che respiriamo, nei fiumi e negli oceani, negli alimenti (come pesce, frutti di mare, sale e persino miele), e perfino nell’acqua potabile. Possono derivare dal degrado di bottiglie, imballaggi, tessuti sintetici lavati in lavatrice, pneumatici, cosmetici e molti altri prodotti di uso quotidiano. A causa delle loro dimensioni microscopiche, le nanoplastiche sono difficili da filtrare e rimuovere, e il loro impatto sulla salute umana è ancora poco conosciuto, ma studi come questo evidenziano la necessità urgente di approfondire le loro implicazioni biologiche.
Effetti delle nanoplastiche
In questo studio, i ricercatori hanno somministrato per 12 settimane particelle di polistirene da 100 nanometri a un gruppo di topi, osservando come queste si accumulassero nell’intestino, nel fegato e in altre parti del corpo. A differenza di quanto si potrebbe pensare, le nanoplastiche non hanno causato un’infiammazione evidente o danni al fegato, ma hanno colpito in modo mirato l’equilibrio dei batteri intestinali.
Uno degli effetti principali è stato l’indebolimento della barriera intestinale, dovuto alla riduzione di proteine chiave come ZO-1 e MUC-13, che normalmente mantengono le cellule intestinali ben sigillate tra loro. Le nanoplastiche, infatti, alterano il rilascio di microRNA attraverso delle vescicole extracellulari (EV), che agiscono come messaggeri tra le cellule e i batteri. Questo meccanismo porta a un aumento della permeabilità intestinale, una condizione nota anche come “leaky gut”, che può facilitare il passaggio di sostanze nocive nel corpo.
Nel microbiota dei topi esposti, i ricercatori hanno osservato una diminuzione di batteri benefici come i Lactobacillaceae e un aumento di altri ceppi, come i Ruminococcaceae, spesso associati a squilibri metabolici. È stato inoltre registrato un aumento di Akkermansia, un batterio probiotico emergente, ma non è ancora chiaro se si tratti di una risposta protettiva o di un effetto collaterale dello squilibrio indotto.
Lo studio sottolinea per la prima volta come gli effetti tossici delle nanoplastiche sull’intestino non siano dovuti solo al contatto diretto con i batteri, ma a una complessa catena di segnali tra cellule intestinali e microbi.
I risultati aprono nuove domande sui rischi invisibili legati all’esposizione ambientale quotidiana a queste particelle.