Un tempo considerata una malattia esotica, la Febbre del Nilo Occidentale (West Nile) è oggi una realtà consolidata anche in Italia. Non si tratta più di un’infezione “importata” da paesi tropicali: negli ultimi anni, il virus ha trovato nel nostro territorio un habitat favorevole per circolare stabilmente, diventando endemico.
A renderlo possibile è una combinazione di fattori. Il virus, appartenente alla famiglia dei Flavivirus, si trasmette attraverso le punture di zanzare – soprattutto del genere Culex – che si infettano pungendo uccelli selvatici, i principali serbatoi naturali del virus. Da questi, può essere trasmesso anche ad altri animali, come cavalli e cani, e in alcuni casi all’uomo.
Negli ultimi mesi si sono registrati diversi casi autoctoni nel nostro Paese, tra cui un focolaio nella provincia di Latina e il decesso di una donna anziana residente a Nerola, ricoverata all’ospedale di Fondi per febbre e stato confusionale.
«Il cambiamento climatico gioca un ruolo fondamentale – spiega il virologo Fabrizio Pregliasco – temperature più alte e città sempre più tropicali favoriscono la proliferazione delle zanzare e, di conseguenza, la diffusione del virus in aree fino a poco tempo fa considerate sicure».
Un’infezione spesso silenziosa, ma da non sottovalutare
Nella maggior parte dei casi, l’infezione da West Nile decorre in modo asintomatico o con sintomi lievi, come febbre, mal di testa, nausea e sfoghi cutanei. Tuttavia, in soggetti anziani o immunodepressi il virus può colpire in forma grave, causando meningiti o encefaliti, talvolta fatali.
Non esistono vaccini o cure specifiche contro il virus: la prevenzione è quindi l’arma principale. L’uso di repellenti, zanzariere, l’eliminazione dei ristagni d’acqua e le campagne di disinfestazione sono strategie fondamentali per contenere la diffusione.
«È importante agire responsabilmente – conclude Pregliasco – oltre al West Nile, le zanzare possono trasmettere altri virus pericolosi come Dengue, Chikungunya, Zika e Usutu. Serve consapevolezza e una prevenzione coordinata».
Il ruolo nascosto del microbiota nell’epidemiologia del West Nile
Uno dei fronti più interessanti della ricerca sul West Nile riguarda il microbiota delle zanzare, in particolare di Culex pipiens, la principale vettore del virus in Europa. Studi recenti hanno mostrato che la composizione batterica dell’intestino delle zanzare può influenzare la loro capacità di trasmettere il virus. Alcuni batteri, come quelli dei generi Enterobacter e Serratia, sembrano favorire lo sviluppo del West Nile all’interno dell’insetto, mentre altri, come Wolbachia, potrebbero ostacolarlo o modularlo attraverso meccanismi immunitari.
Ma non solo: si ipotizza che anche il microbiota degli ospiti vertebrati – inclusi uccelli e, potenzialmente, gli esseri umani – possa influire sulla suscettibilità all’infezione o sulla sua gravità. In particolare, squilibri nel microbiota intestinale potrebbero modificare la risposta immunitaria all’infezione virale. Sebbene la ricerca sia ancora agli inizi, questi dati aprono la strada a nuove strategie di prevenzione che integrano il controllo ambientale con una visione più ampia dell’ecologia microbica dei vettori e degli ospiti.
