Un nuovo studio pubblicato su Translational Psychiatry getta luce su un aspetto finora poco esplorato: la relazione tra i tratti impulsivi della personalità, le abitudini alimentari e la composizione del microbiota intestinale negli adulti sani. La ricerca, condotta da team in Germania e nei Paesi Bassi, non si è focalizzata su individui con disturbi mentali, ma su persone senza diagnosi cliniche (quindi sani), offrendo così una prospettiva inedita sulla dimensione “quotidiana” dell’impulsività e sulle sue implicazioni per la salute.
Cosa si intende per impulsività?
L’impulsività è un tratto della personalità che porta ad agire senza riflettere sulle conseguenze. È alla base di molti comportamenti rischiosi, tra cui scelte alimentari poco sane e abuso di sostanze. Non sorprende, dunque, che sia spesso associata a disturbi psichiatrici come il disturbo borderline di personalità o l’ADHD. Ma anche in individui considerati “neurotipici”, cioè privi di diagnosi, l’impulsività può influenzare lo stile di vita – e, come mostra questo studio, anche l’equilibrio del microbiota intestinale.
Il microbiota e l’asse intestino-cervello
Negli ultimi anni, l’asse intestino-cervello (GBA, gut-brain axis) ha guadagnato grande attenzione scientifica. Si tratta di un sistema di comunicazione bidirezionale tra intestino e sistema nervoso centrale, mediato anche dalla flora intestinale. I batteri intestinali, infatti, producono molecole bioattive come la serotonina e la grelina, coinvolte nel comportamento, nell’umore e nei meccanismi della ricompensa. In questo contesto, è ragionevole ipotizzare che la composizione del microbiota possa influenzare (o essere influenzata da) tratti psicologici come l’impulsività.
I ricercatori si sono quindi posti due domande chiave:
- L’impulsività è associata a determinate abitudini alimentari negli adulti sani?
- Esiste una correlazione tra i tratti impulsivi e la composizione del microbiota intestinale?
Il microbiota non si limita a partecipare alla digestione: produce sostanze come la serotonina e la grelina, che hanno effetti diretti sul cervello, influenzando umore, appetito e comportamenti. È noto che le persone più impulsive tendono a fare scelte alimentari meno equilibrate e a consumare più alcol, e questi comportamenti, a loro volta, modificano la composizione dei batteri intestinali.
Ciò che finora mancava, però, era uno studio su larga scala che analizzasse l’impulsività come tratto continuo nella popolazione generale, al di fuori di contesti clinici, e ne valutasse la relazione sia con la dieta sia con il microbiota.
In questo lavoro, che ha coinvolto 913 partecipanti reclutati a Francoforte sul Meno e Magonza, l’impulsività è stata misurata con il questionario UPPS, che considera quattro aspetti principali: urgenza (agire in risposta a emozioni intense), mancanza di premeditazione (agire senza pianificare), mancanza di perseveranza (difficoltà a completare compiti noiosi o impegnativi) e ricerca di sensazioni (desiderio di esperienze nuove e stimolanti). Le abitudini alimentari sono state rilevate con un questionario sulla frequenza di consumo, mentre l’assunzione di alcol è stata valutata con un metodo validato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. I ricercatori hanno poi analizzato campioni fecali per identificare la composizione microbica tramite sequenziamento genetico.
Comportamenti alimentari “impulsivi”
I risultati hanno mostrato che alcuni tratti impulsivi erano fortemente associati a specifici comportamenti alimentari. La ricerca di sensazioni e la mancanza di premeditazione si legavano a un maggiore consumo di alcol, mentre urgenza e ricerca di sensazioni si accompagnavano a un consumo più frequente di bevande zuccherate.
L’urgenza, in particolare, era anche associata a una minore assunzione di fibre, elemento cruciale per il benessere intestinale. Curiosamente, nessuno dei tratti esaminati aveva una relazione significativa con il consumo di carne.
Quando gli studiosi hanno analizzato la diversità globale del microbiota, non hanno trovato associazioni dirette con i tratti impulsivi. Tuttavia, guardando più in dettaglio a livello di singoli generi batterici, sono emerse connessioni interessanti. L’urgenza era associata a una minore presenza di Butyricicoccus e di Lachnospiraceae UCG-001, due gruppi noti per la produzione di butirrato, un acido grasso a catena corta con importanti proprietà antinfiammatorie e protettive per la barriera intestinale. La ricerca di sensazioni era invece associata a livelli più alti di Eubacterium siraeum, mentre la mancanza di premeditazione si correlava con un aumento di Bifidobacterium e di alcune specie non coltivate della famiglia Lachnospiraceae.
Un aspetto cruciale emerso dallo studio è che le abitudini alimentari sembrano fungere da ponte tra tratti impulsivi e microbiota. Il consumo di bevande zuccherate mediava la relazione tra urgenza e la presenza di alcuni batteri, mentre l’alcol spiegava in parte il legame tra ricerca di sensazioni e Eubacterium siraeum. Anche le fibre giocavano un ruolo: un apporto insufficiente spiegava parzialmente la ridotta presenza di Butyricicoccus negli individui con livelli più alti di urgenza. In altre parole, l’impulsività non sembra modificare direttamente il microbiota, ma lo fa indirettamente attraverso le scelte alimentari che ne derivano.
Gli autori dello studio sottolineano i punti di forza del loro lavoro, come l’ampio campione e la cura nell’escludere fattori confondenti, ma riconoscono anche alcune limitazioni. Si tratta di un’analisi trasversale, che non può stabilire un rapporto di causa-effetto. Non è stato possibile raccogliere informazioni dettagliate sull’uso passato di antibiotici né distinguere i diversi tipi di fibre assunte. Inoltre, il questionario UPPS utilizzato è una versione a quattro fattori, mentre strumenti più recenti ne considerano cinque.
Interrompere il circolo vizioso
Questi risultati aprono diverse prospettive. Da un lato, confermano che certi tratti di personalità possono influenzare lo stile di vita e, tramite questo, la salute intestinale. Dall’altro, suggeriscono che intervenire precocemente sulle abitudini alimentari potrebbe aiutare a prevenire squilibri del microbiota potenzialmente associati a un peggioramento della salute mentale. È possibile immaginare programmi personalizzati che tengano conto non solo delle esigenze nutrizionali, ma anche del profilo psicologico di una persona, con l’obiettivo di sostenere l’equilibrio dell’asse intestino-cervello.
In ultima analisi, lo studio ci ricorda che ciò che mangiamo è spesso il riflesso di chi siamo, e che le nostre inclinazioni caratteriali possono lasciare un’impronta invisibile ma concreta nei miliardi di batteri che popolano il nostro intestino. E, forse, imparare a conoscere e gestire meglio questi tratti potrebbe significare non solo fare scelte alimentari più sane, ma anche prendersi cura, in modo più consapevole, di mente e corpo insieme.


