I vaccini sono tra le invenzioni più importanti della medicina moderna. Grazie a loro, malattie che un tempo seminavano paura e morte, come il vaiolo o la poliomielite, oggi sono scomparse o quasi. Eppure, chiunque abbia fatto un vaccino sa che non tutti reagiamo allo stesso modo. C’è chi sviluppa rapidamente una forte risposta immunitaria, con anticorpi pronti a difenderci, e chi invece produce una protezione più modesta. Ma da cosa dipende questa variabilità?
Per anni si è pensato soprattutto all’età, al sesso, alla genetica o allo stato di salute generale. Negli ultimi tempi, però, la scienza ha puntato i riflettori su un protagonista inaspettato: il microbiota intestinale, cioè quell’enorme comunità di miliardi di batteri che vive dentro di noi.
L’ecosistema invisibile che “parla” al sistema immunitario
Il nostro intestino è popolato da centinaia di specie microbiche. Alcune di esse ci accompagnano dalla nascita, altre arrivano col tempo, influenzate dalla dieta, dall’ambiente, dall’uso di farmaci come gli antibiotici. Questo ecosistema non è un semplice passeggero: interagisce continuamente con il nostro organismo e in particolare con il sistema immunitario.
Non è un caso che gran parte delle cellule immunitarie si trovi proprio nell’intestino. In pratica, i batteri intestinali e il sistema immunitario sono impegnati in un dialogo costante: i primi “insegnano” alle nostre difese a distinguere gli amici dai nemici, a reagire quando serve ma anche a mantenere la calma per non innescare infiammazioni inutili.
Se pensiamo ai vaccini, che hanno proprio lo scopo di addestrare il sistema immunitario a riconoscere e combattere un virus o un batterio, il passo è breve: il microbiota potrebbe avere un ruolo anche in questa fase.
Batteri amici dei vaccini
Negli ultimi anni, diversi studi hanno mostrato che alcune specie batteriche si associano a una risposta vaccinale migliore. Uno dei casi più interessanti riguarda i Bifidobacterium, microrganismi molto abbondanti nell’intestino dei neonati allattati al seno e spesso utilizzati anche nei probiotici.
Alcune ricerche hanno evidenziato che bambini con una flora intestinale ricca di Bifidobacterium rispondono meglio ai vaccini pediatrici, come quello contro la polmonite o la difterite. Anche negli adulti si è osservato che un intestino ben colonizzato da questi batteri produce una maggiore quantità di anticorpi dopo i vaccini contro l’epatite B o persino contro il COVID-19.
È come se questi microbi, già noti per i loro effetti benefici sulla digestione e sul benessere intestinale, avessero anche la capacità di “allenare” il sistema immunitario a diventare più reattivo quando incontra un vaccino.
Un altro esempio riguarda i batteri che producono acidi grassi a catena corta, come il butirrato. Queste sostanze derivano dalla fermentazione delle fibre alimentari e hanno un effetto diretto sulle cellule immunitarie, aiutandole a funzionare meglio. In pratica, un intestino nutrito con abbastanza fibre e popolato da batteri in grado di trasformarle in molecole utili sembra in grado di fornire una marcia in più anche alle difese attivate dai vaccini.
Se il microbiota rema contro
Naturalmente, non sempre la presenza di certi batteri è positiva. Alcune specie che tendono a promuovere infiammazione, come Bilophila, sono state associate a una risposta vaccinale più intensa. Questo può sembrare un bene, ma apre anche un interrogativo: un microbiota troppo “acceso” rischia di scatenare reazioni esagerate o effetti collaterali. Altri microrganismi, come Segatella copri, sembrano ridurre gli effetti collaterali post-vaccino, ma a costo di una minore produzione di anticorpi. È un po’ come se ci fosse un compromesso tra tolleranza ed efficacia, e il microbiota potesse spostare l’ago della bilancia da una parte o dall’altra.
Uno degli esempi più chiari dell’impatto del microbiota sui vaccini arriva dagli antibiotici. Questi farmaci sono fondamentali per combattere le infezioni, ma hanno un effetto collaterale ben noto: sconvolgono la flora intestinale, eliminando non solo i batteri “cattivi” ma anche quelli benefici. Studi su bambini e adulti hanno mostrato che chi assume antibiotici in prossimità della vaccinazione tende a sviluppare una risposta immunitaria più debole. Nei neonati, in particolare, l’uso precoce di antibiotici riduce i livelli di Bifidobacterium e può compromettere la protezione offerta da vaccini cruciali.
Questo non significa, ovviamente, che gli antibiotici vadano evitati quando sono necessari, ma sottolinea l’importanza di un uso consapevole, soprattutto nei primi anni di vita.
La dieta come alleata del sistema immunitario
Se gli antibiotici possono indebolire la risposta vaccinale, la dieta sembra avere l’effetto opposto. Un’alimentazione ricca di fibre, come frutta, verdura, legumi e cereali integrali, fornisce il carburante ai batteri produttori di acidi grassi a catena corta. Questi metaboliti non solo nutrono le cellule intestinali ma contribuiscono anche a regolare l’attività immunitaria.
Alcuni studi durante la pandemia hanno suggerito che le persone con una dieta ad alto contenuto di fibre avevano una risposta migliore ai vaccini contro il COVID-19. Al contrario, diete molto ricche di grassi sembrano compromettere la capacità delle cellule T, fondamentali per la memoria immunitaria, di maturare in modo corretto.
Un esempio pratico? Immaginiamo due persone che ricevono lo stesso vaccino antinfluenzale: una segue una dieta equilibrata con abbondanza di frutta e verdura, l’altra consuma soprattutto cibi industriali e grassi saturi. La prima, grazie a un microbiota più “allenato”, potrebbe sviluppare una protezione più solida e duratura.
Nonostante i progressi, gli scienziati sottolineano che il quadro non è ancora completo. Il microbiota varia enormemente da persona a persona, influenzato da fattori come geografia, età, abitudini alimentari e stile di vita. Un batterio associato a una buona risposta vaccinale in una popolazione asiatica potrebbe non avere lo stesso effetto in una popolazione europea o americana. Inoltre, il sistema immunitario è complesso e multifattoriale: il microbiota è un tassello importante, ma non l’unico.
Guardando al futuro
Le prospettive però sono entusiasmanti. Se riusciremo a comprendere meglio come il microbiota influenza la risposta ai vaccini, potremmo immaginare strategie per potenziarla. Alcuni studi stanno già esplorando l’uso di probiotici specifici o di integratori prebiotici, che nutrono i batteri “buoni”, somministrati in concomitanza con la vaccinazione. L’idea è semplice: preparare l’intestino perché possa supportare al meglio il lavoro del sistema immunitario.
Naturalmente, restano da affrontare molte sfide pratiche ed etiche. Non possiamo pensare, almeno per ora, di personalizzare le vaccinazioni in base al profilo del microbiota di ogni individuo: sarebbe complesso, costoso e difficile da gestire su larga scala. Ma la ricerca potrebbe portare a linee guida generali, come l’importanza di una dieta equilibrata o l’uso mirato di probiotici in alcune fasce di popolazione vulnerabile.
In fondo, questa storia ci ricorda che la salute non dipende mai da un solo fattore. I vaccini ci proteggono, ma il nostro corpo e i suoi microscopici abitanti collaborano per renderli più o meno efficaci. Curare il microbiota, con scelte quotidiane come un’alimentazione ricca di fibre o un uso consapevole degli antibiotici, significa anche dare una mano alle nostre difese quando arriva il momento di vaccinarsi.
La prossima volta che sentiremo parlare di vaccini, forse penseremo anche al nostro intestino. Perché dietro a una semplice puntura, c’è un universo invisibile che lavora per noi, rendendo la protezione più forte e duratura.

