Nel tratto gastrointestinale dell’uomo, per lo più a livello dell’intestino crasso, abita una ricca e folta schiera di microrganismi (ne è stata calcolata una concentrazione nel colon che va da 10 a 1000 miliardi per grammo), per lungo tempo definita flora batterica, ma che ora si preferisce chiamare, con un nome scientificamente più corretto, microbiota. 

Si tratta di un ecosistema complesso e variegato che comprende batteri, virus, funghi e protozoi, anche se solitamente se ne parla in riferimento, in particolare, alla componente batterica.

Tra organismo umano ospitante e microbiota sussiste una relazione simbiotica, cioè basata sullo scambio di vantaggi reciproci: l’uomo fornisce le sostante nutritive necessarie alla sopravvivenza della microflora che, a sua volta, svolge una serie di funzioni essenziali per la salute umana. Per esempio, specifici batteri buoni producono nutrienti preziosi per l’uomo (comprese vitamine come la K e acidi grassi a catena corta), influiscono sul metabolismo e l’integrità intestinale, contribuiscono alle difese dell’organismo, modulando l’attività del sistema immunitario e contrastando l’azione di eventuali agenti patogeni intestinali, e alla prevenzione dell’infiammazione del tratto gastrointestinale.

Proprio in relazione a tali benefici, ha assunto sempre più importanza negli anni il raggiungimento e/o il mantenimento di un buon equilibrio del microbiota. Infatti, la composizione della flora batterica, cioè il tipo e le quantità relative di specie batteriche presenti, varia generalmente da persona a persona (o anche nello stesso individuo in diversi momenti della vita) in funzione di una serie di fattori come età, patrimonio genetico, storia personale, alimentazione, e può anche venire alterata, per esempio da una dieta scorretta, infezioni, interventi chirurgici, periodi di stress o medicinali (quelli più a rischio sono gli antibiotici). 

Una volta alterato l’equilibrio del microbiota si possono manifestare disturbi a livello di diverse parti del corpo, in particolare a livello intestinale con sintomi come gonfiore, crampi, meteorismo, flatulenza, alterazioni del transito intestinale (diarrea o stitichezza), nausea/vomito, inappetenza, senso di malessere ecc.  

Negli ultimi decenni si è quindi sviluppato un crescente interesse per lo studio di alcune sostanze, tra cui i cosiddetti prebiotici, in grado di favorire l’equilibrio della flora intestinale. Scopriamo meglio di cosa si tratta, dove si trovano e quali sono i loro possibili effetti.

Che cosa sono i prebiotici

La prima definizione di prebiotici risale al 1995 e li descrive come “ingredienti alimentari non digeribili che influiscono beneficamente sull’ospite stimolando selettivamente la crescita e/o l’attività di una o di un numero limitato di specie batteriche già residenti nel colon, e quindi tentano di migliorare la salute dell’ospite”.

Tale definizione è stata successivamente aggiornata, specificando tre criteri affinché i prebiotici possano essere considerati tali:

  • devono essere resistenti al pH acido dello stomaco, all’idrolisi (reazione chimica che porta alla scomposizione di una sostanza) svolta dagli enzimi digestivi e all’assorbimento gastrointestinale
  • devono subire la fermentazione da parte del microbiota intestinale
  • devono stimolare selettivamente la crescita e/o l’attività dei batteri intestinali associati alla salute e al benessere umani. 

A fine 2016 l’International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics è giunta poi a una definizione più ampia, secondo cui un prebiotico è “un substrato che viene utilizzato selettivamente dai microrganismi ospiti conferendo un beneficio per la salute”.

Le Linee Guida su probiotici e prebiotici del Ministero della Salute del 2018, infine, usano come definizione di prebiotico quella indicata dalla FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) nel 2007, secondo cui un prebiotico è un costituente degli alimenti non vitale, che conferisce un beneficio alla salute mediante una modulazione del microbiota.

Molte sostanze sono state studiate per i loro effetti prebiotici: la maggior parte rientra nella categoria delle fibre idrosolubili (questo non significa però che tutte le fibre alimentari abbiano effetti prebiotici) e si tratta principalmente di carboidrati oligosaccaridi, ovvero composti caratterizzati da catene costituite da più molecole (in genere da 3 a 10) di zuccheri semplici. Tra questi si segnalano in particolare: 

  • i fruttani, derivati dal fruttosio, che comprendono inulina (a catena lunga) e frutto-oligosaccaridi, meglio conosciuti semplicemente come FOS (a catena corta)
  • i galatto-oligosaccaridi (GOS), derivati dal lattosio (zucchero del latte, a sua volta costituito da due molecole, una di galattosio e una di glucosio).

Viene inoltre generalmente compreso tra le sostanze a effetto prebiotico anche il lattulosio, un disaccaride sintetico ottenuto dal lattosio e costituito da una molecola di fruttosio e da una di galattosio, noto per essere usato anche come lassativo contro la stitichezza cronica.

Altri carboidrati oggetto di studi per le loro proprietà prebiotiche, includono, ad esempio, gli xilooligosaccaridi, gli oligosaccaridi della soia, gli isomaltooligosaccaridi, l’amido resistente.

Infine, tra i composti che, pur non contenendo zuccheri, sembrano soddisfare tutti i criteri per essere classificati come prebiotici (e per questo sono tuttora oggetto di studio), una menzione speciale spetta ai polifenoli, gruppo diversificato di sostanze, già note per le loro attività antinfiammatorie e antiossidanti, che includono ad esempio i flavonoidi e che sono presenti in vari ortaggi, nelle noci, in bevande come il tè.

Come agiscono e quali effetti possono avere i prebiotici

Come abbiamo già anticipato, i prebiotici per essere definiti tali devono essere in grado di superare la prima parte del sistema digerente per arrivare intatti nel tratto intestinale che ospita il microbiota, dove vengono poi fermentati selettivamente da alcune specie batteriche. 

Alcuni microbi possono metabolizzare più carboidrati oligosaccaridi diversi, mentre altri sono in grado di fermentarne solo uno o pochi: per esempio i bifidobatteri e i lattobacilli (batteri buoni appartenenti alla categoria dei fermenti lattici) risultano tra i principali utilizzatori di fruttani.

In questo modo i prebiotici diventano una fonte energetica per tali microrganismi, favorendo l’equilibrio del microbiota. Va comunque sottolineato che la modulazione del microbiota dipende non solo dal tipo di prebiotico impiegato, ma anche dal suo dosaggio e dalla composizione stessa della microflora, che è unica per ogni individuo, per cui la risposta all’assunzione dei prebiotici può essere variabile.

Dove si trovano i prebiotici

Diversi cibi, soprattutto vegetali, rappresentano una fonte naturale di prebiotici. Questi preziosi composti sono, ad esempio, contenuti naturalmente nella radice di cicoria, in vari tipi di verdura come carciofi, asparagi, aglio, cipolle e porri, in cereali come il frumento, l’orzo, la segale, in frutta come banane, in legumi come soia, piselli e fagioli, ma anche nelle alghe, nel latte vaccino e nel latte umano.

Negli alimenti, però, la concentrazione naturale di prebiotici non è elevata; le sostanze ad azione prebiotica vengono quindi in gran parte prodotte su larga scala a livello industriale e utilizzate, in quantità ben definite e standardizzate, per produrre integratori alimentari e/o per essere aggiunte ad altri cibi in modo da ottenere alimenti funzionali arricchiti.

Le già citate linee guida del Ministero della salute regolano l’uso dei prebiotici negli alimenti e negli integratori alimentari. Tali linee guida prevedono che le sostanze impiegate come prebiotici, oltre a rispondere ai criteri prima descritti, debbano soddisfare altri due requisiti fondamentali: essere sicure per l’uomo sulla base di un uso tradizionale ed essere assunte in quantità giornaliere tali da poter svolgere un effetto prebiotico secondo le evidenze scientifiche disponibili.

I prodotti che rispettano tali richieste possono quindi essere commercializzati con una specifica indicazione d’uso, ossia per favorire un effetto fisiologico sull’equilibrio della flora batterica intestinale.In commercio si trovano anche prodotti (integratori e alimenti funzionali) che combinano nella stessa formulazione, con un’azione sinergica, prebiotici e probiotici e sono per questo detti simbiotici. I probiotici sono microrganismi viventi – per lo più batteri o lieviti – in grado di raggiungere, vivi e vitali, l’intestino, dove, come i prebiotici, favoriscono l’equilibrio della microflora intestinale. Un esempio tipico di prodotto simbiotico vede la combinazione tra batteri appartenenti alla categoria dei fermenti lattici e prebiotici FOS.