Si sente sempre più spesso parlare, anche in ambito medico, di “asse intestino-cervello”. Ma cosa vuol dire? Il cervello e l’intestino sono organi completamente diversi e poi sono anatomicamente lontani. Cosa significa tutto ciò? Le differenze sono molte, ma il legame che li unisce è altrettanto forte, al punto che spesso si parla ormai dell’intestino come di un “secondo cervello”.
Sono infatti sempre più numerose le evidenze che dimostrano una connessione stretta tra l’apparato digestivo e il sistema nervoso centrale, mediata soprattutto dal microbiota intestinale, ovvero dall’insieme dei microrganismi che popolano la mucosa dell’intestino, un tempo detto flora batterica.
D’altra parte l’esperienza di ognuno di noi ci insegna che davanti a situazioni stressanti, come per esempio un esame scolastico difficile, il nostro intestino a volte fa le bizze. E quando proviamo un’emozione forte, come l’innamoramento, abbiamo quella strana sensazione di farfalle nello stomaco.
Nuove strategie terapeutiche per disturbi e patologie cerebrali o cognitive potrebbero perciò essere, in un prossimo futuro, mirate all’intestino. Nonostante i passi avanti, molto rimane ancora da scoprire.
Intestino-cervello: ecco come sono collegati
Dal punto di vista anatomico, cervello e intestino sono collegati da svariate terminazioni nervose, in particolare dal nervo vago; da quello funzionale, comunicano invece attraverso scambi ormonali e molecole prodotte dal microbiota intestinale, ossia dall’insieme di microorganismi, principalmente batteri, ma anche virus e funghi, che lo colonizzano abitualmente.
Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi che hanno messo in luce l’associazione fra la composizione del microbiota intestinale e lo stato di salute dell’intero organismo, visto il suo coinvolgimento in patologie a carico di svariati organi, cervello compreso.
Scopriamo quindi insieme le sempre maggiori evidenze che supportano la sua stretta relazione con la sfera cognitiva ed emozionale.
Come fa il microbiota intestinale a parlare con il cervello?
Il dialogo tra intestino e cervello avviene essenzialmente attraverso i neurotrasmettitori e le molecole che le varie specie batteriche (e non solo) sono in grado di produrre. Tra i principali “portavoce”, troviamo sostanze come serotonina o GABA (acido gamma-amminobutirrico), ma anche acidi grassi a catena corta (butirrato, propionato e acetato) o acidi biliari.
Molti sono gli studi pre-clinici (in aumento quelli clinici) che dimostrano e supportano il ruolo del microbiota intestinale in disturbi neurologici o psicologici. Vediamo qualche esempio:
- l’assunzione di prebiotici (cioè sostanze come inulina o amido, presenti in certi alimenti e in grado di favorire la crescita di “batteri buoni”) non modifica soltanto la composizione della popolazione batterica, ma potrebbe ridurre anche comportamenti simil-ansiosi e depressivi migliorando l’apprendimento, il livello cognitivo e l’umore. È quanto suggeriscono diversi studi, come per esempio quello pubblicato nel 2017 da un gruppo di ricercatori guidato da Fernando Azpiroz, dell’Universitat Autonoma de Barcelona. Nonostante il meccanismo che ne sta alla base debba essere ancora chiarito, tale effetto potrebbe dipendere dalla capacità dei prebiotici di influenzare l’attività di due regioni del cervello: l’ippocampo e l’ipotalamo;
- alcune ricerche ancora preliminari, tra cui quella pubblicata sulla rivista Translational Psychiatry da un gruppo di ricerca della University College Cork, in Irlanda, hanno osservato una possibile associazione tra un miglioramento di stress, ansia e depressione e la somministrazione di probiotici (microorganismi vivi e vitali che si dimostrano in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di esercitare funzioni benefiche per l’organismo), come per esempio specifici ceppi di Bifidobacterium e Lactobacillus;
- individui con disturbi del comportamento alimentare (bulimia, anoressia) sono caratterizzati da un microbiota intestinale alterato rispetto a soggetti sani e caratteristico per ognuna di queste patologie. Situazione analoga in presenza di malattie neurodegenerative: uno studio, pubblicato nel 2017 sulla rivista Scientific Reports da un gruppo di ricerca della University of Wisconsin (negli Stati Uniti), ha dimostrato la presenza di alterazioni nella composizione del microbiota intestinale in pazienti affetti da Alzheimer. Stessi risultati sono stati ottenuti per patologie come Parkinson o sclerosi multipla.
Dimostrata la relazione tra microbiota intestinale e cervello, anche in situazioni patologiche, rimane tuttavia da chiarirne i rapporti causa-effetto. Sono le alterazioni della popolazione batterica a favorire lo sviluppo di tali disturbi o queste sono una conseguenza?
Per dirlo dovremo attendere i risultati di nuovi studi, ma nel frattempo è bene salvaguardare la salute del nostro organismo evitando o contrastando alterazioni nella composizione del microbiota intestinale.