Un nuovo studio condotto da un team internazionale di scienziati ha fatto luce sulle profonde alterazioni biologiche che caratterizzano l’encefalomielite mialgica/sindrome da fatica cronica (ME/CFS), una patologia debilitante che colpisce milioni di persone nel mondo e che, ancora oggi, rimane poco compresa e spesso sottovalutata.

I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, non solo migliorano la comprensione scientifica di ME/CFS, ma aprono anche la strada a nuove strategie di diagnosi e trattamento, potenzialmente rilevanti anche per il Long COVID, con cui condivide molte caratteristiche cliniche.

Una malattia invisibile, ma reale

La ME/CFS è una condizione complessa e cronica che provoca affaticamento estremo, dolori diffusi, disturbi del sonno, capogiri, difficoltà cognitive e altri sintomi debilitanti. Non esistono esami diagnostici specifici e molti pazienti restano senza una diagnosi per anni. Alcuni medici, in assenza di marcatori biologici oggettivi, mettono ancora in dubbio l’esistenza stessa della malattia, attribuendo i sintomi a fattori psicologici.

Ma questo nuovo studio smentisce tali pregiudizi: grazie a un approccio innovativo basato sull’intelligenza artificiale, i ricercatori sono riusciti a identificare con il 90% di accuratezza i pazienti affetti da ME/CFS, analizzando campioni di feci, sangue e altri esami clinici di routine.

«Questi risultati sono importanti perché forniscono prove biologiche concrete» ha dichiarato Derya Unutmaz, immunologo al Jackson Laboratory e co-autore dello studio. «Non solo aiutano a superare lo stigma, ma offrono nuove opportunità per terapie personalizzate».

Un approccio multidimensionale

La ricerca è stata guidata da Julia Oh, microbiologa ex JAX e ora docente alla Duke University, insieme a clinici esperti in ME/CFS del Bateman Horne Center di Salt Lake City. Il team ha integrato tecnologie “multi-omiche” (microbiota, metaboliti, sistema immunitario, sintomi clinici) in una piattaforma di intelligenza artificiale chiamata BioMapAI, sviluppata da Ruoyun Xiong.

Sono stati analizzati i dati di 249 persone (153 pazienti e 96 controlli sani) raccolti in un arco di quattro anni. I risultati hanno evidenziato una rete di interazioni alterate tra microbiota intestinale, metabolismo e sistema immunitario nei pazienti ME/CFS, che si traduce in sintomi molto variabili e difficili da interpretare con le metodologie tradizionali.

«Abbiamo costruito un modello capace di collegare i sintomi riportati dai pazienti – come dolore, affaticamento, disturbi del sonno e gastrointestinali – ai cambiamenti nel microbiota e nella risposta immunitaria» ha spiegato Oh. «Questo è cruciale, perché ogni paziente ha una combinazione unica di sintomi».

Il ruolo di microbiota e infiammazione

Una delle scoperte più interessanti riguarda il ruolo del microbiota intestinale, che nei pazienti ME/CFS appare significativamente alterato. In particolare, sono state riscontrate basse concentrazioni di butirrato, un acido grasso a corta catena prodotto da batteri benefici, noto per le sue proprietà antinfiammatorie e il suo contributo alla salute intestinale.

Allo stesso tempo, i pazienti mostravano livelli elevati di metaboliti come triptofano e benzoato, indicativi di squilibri microbici. Anche il profilo immunitario risultava alterato, in particolare nelle cellule MAIT (cellule T associate alla mucosa), sensibili alla salute del microbiota.

«Le cellule MAIT fungono da ponte tra il microbiota intestinale e il sistema immunitario», ha spiegato Unutmaz. «Quando queste cellule, insieme a pathway antinfiammatori come quelli del butirrato e del triptofano, risultano compromessi, significa che c’è uno squilibrio sistemico profondo».

Una malattia che peggiora nel tempo

Un altro dato importante è la progressione nel tempo delle alterazioni biologiche. I pazienti malati da meno di 4 anni mostravano reti biologiche meno compromesse rispetto a chi conviveva con ME/CFS da oltre 10 anni. Questo suggerisce che la malattia diventa più radicata e difficile da trattare col passare del tempo, anche se non necessariamente irreversibile.

I 96 controlli sani, selezionati per età e sesso comparabili, mostravano al contrario interazioni equilibrate tra microbiota, metabolismo e sistema immunitario.

Verso cure mirate

Anche se sono necessari ulteriori studi per confermare questi risultati, lo studio rappresenta un grande passo avanti nella comprensione della ME/CFS. Il modello BioMapAI ha confermato la validità dei biomarcatori individuati anche su dati esterni, con un’accuratezza dell’80%, dimostrando che le firme biologiche della malattia sono coerenti e non casuali. «Il microbiota e il metaboloma sono dinamici, a differenza del genoma» ha detto Oh. «Questo ci dà speranza: potremmo intervenire su queste componenti attraverso dieta, stile di vita o terapie mirate».

Inoltre, i ricercatori si impegnano a rendere pubblici i dati e il modello BioMapAI, per favorire ulteriori ricerche e applicazioni anche in altre patologie complesse.

«Vogliamo costruire una mappa dettagliata che colleghi sistema immunitario, batteri intestinali e le sostanze chimiche che producono», ha concluso Oh. «Solo così potremo davvero capire cosa guida la malattia e sviluppare una medicina di precisione, finalmente accessibile anche a chi soffre di ME/CFSı.

In sintesi, questo studio rivoluzionario segna un punto di svolta per migliaia di pazienti che lottano da anni con una malattia invisibile ma reale. Grazie all’integrazione di dati biologici complessi e tecnologie di intelligenza artificiale, la scienza sta finalmente iniziando a “vedere” ciò che finora era rimasto nascosto.