Le malattie infiammatorie croniche intestinali, spesso indicate con l’acronimo MICI, sono patologie che cambiano la vita di chi ne soffre. Non si tratta di disturbi passeggeri, ma di condizioni che accompagnano il paziente nel tempo, con fasi di benessere che si alternano a periodi di riacutizzazione. Le due forme principali sono la colite ulcerosa, che colpisce la mucosa del colon a partire dal retto, e la malattia di Crohn, che può invece interessare tratti diversi del tubo digerente, dall’intestino tenue fino al colon, e in alcuni casi anche aree extra-intestinali.

Negli ultimi anni i numeri sono cresciuti: oggi si stima che quasi sette milioni di persone nel mondo convivano con una MICI, di cui circa 250.000 solo in Italia. L’aumento delle diagnosi riguarda anche i bambini e i giovani, a dimostrazione di quanto queste malattie siano ormai una sfida sanitaria globale.

Chi riceve una diagnosi di MICI spesso si trova ad affrontare sintomi che condizionano la quotidianità: dolori addominali persistenti, diarrea cronica talvolta con sangue, perdita di peso e affaticamento. A questi disturbi si aggiunge l’incertezza legata all’andamento altalenante della malattia, che rende difficile programmare il lavoro, lo studio, le relazioni sociali.

Le terapie disponibili hanno fatto passi da gigante. Dai farmaci più tradizionali, come gli aminosalicilati e i corticosteroidi, si è passati a immunosoppressori, biologici e piccole molecole, capaci di controllare l’infiammazione con maggiore precisione. In alcuni casi si ricorre alla chirurgia, che nella colite ulcerosa può avere un effetto risolutivo, mentre nel Crohn è usata soprattutto per gestire complicanze come stenosi e fistole.


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L’aderenza alle terapie

Ma c’è un aspetto che spesso non riceve l’attenzione che meriterebbe: l’aderenza terapeutica. Seguire in modo corretto e costante le cure è fondamentale per tenere sotto controllo la malattia, prevenire riacutizzazioni e ridurre il rischio di complicanze. Eppure, secondo le indagini più recenti, tra il 30 e il 60% dei pazienti non riesce a rispettare pienamente il piano terapeutico. Le ragioni sono molte: la complessità dei regimi di cura, la presenza di altre patologie, gli effetti collaterali, ma anche la difficoltà di accettare una diagnosi cronica.

Per affrontare questo problema, un gruppo di gastroenterologi, psicologi e rappresentanti delle associazioni di pazienti ha elaborato una guida pratica, con dodici raccomandazioni rivolte sia ai medici che ai pazienti. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: curare le MICI non significa solo prescrivere farmaci, ma costruire un’alleanza terapeutica basata sull’ascolto e sulla fiducia reciproca.

Dai dati emerge che tre pazienti su quattro preferiscono le terapie orali e che la possibilità di ridurre il numero di somministrazioni renderebbe molto più semplice seguire le cure. Anche il supporto psicologico si è rivelato determinante: può aumentare l’aderenza fino al 30% e ridurre le riacutizzazioni del 40%. In altre parole, curare la mente aiuta anche a curare l’intestino.

Le associazioni di pazienti, come AMICI Onlus, hanno un ruolo prezioso: mettono in contatto persone che condividono le stesse difficoltà e le stesse paure, offrendo sostegno, motivazione e la forza di non sentirsi soli.

In questa prospettiva, la gestione delle MICI diventa un lavoro di squadra, in cui il paziente è protagonista e non semplice spettatore. Una terapia efficace non si misura solo nella remissione dei sintomi, ma nella capacità di restituire a chi ne soffre una vita il più possibile normale, fatta di progetti, relazioni e speranze.

Il ruolo del microbiota intestinale nelle MICI

Sempre più ricerche mostrano che al centro di questa complessa storia c’è anche il microbiota intestinale, quell’universo di miliardi di batteri che abita il nostro apparato digerente. Nelle persone con MICI si osserva spesso una condizione di disbiosi, cioè uno squilibrio tra microrganismi “amici” e batteri potenzialmente dannosi. Questo squilibrio può contribuire a mantenere attiva l’infiammazione e a rendere più difficile la risposta alle terapie.

Studiare il microbiota significa aprire la strada a nuove possibilità di cura. Interventi mirati per riequilibrarne la composizione – attraverso dieta, probiotici, prebiotici o strategie ancora in fase di ricerca – potrebbero diventare parte integrante della gestione delle MICI. L’obiettivo è ambizioso ma affascinante: trasformare il microbiota da complice dell’infiammazione a prezioso alleato nella salute dell’intestino.

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