Il fuoco di Sant’Antonio (o herpes zoster) è un’infezione causata dallo stesso microbo responsabile di una delle malattie esantematiche nei bambini, il virus varicella-zoster, che dopo la guarigione dalla varicella resta latente nell’organismo.

Quando però si riattiva, si sviluppa il fuoco di Sant’Antonio.

Non sempre si riesce a risalire alla causa di questa riattivazione, che può dipendere dall’assunzione di un farmaco o da un qualche problema di salute.

Si sa però che può entrare in gioco un indebolimento del sistema immunitario e che, nonostante possa colpire a qualsiasi età, il fuoco di Sant’Antonio è più frequente dopo i 50 anni. In queste circostanze potrebbe essere utile assumere probiotici appositamente studiati per rinforzare le difese naturali del nostro organismo.

Scopri i biotici studiati sull’immunostimolazione

I sintomi del fuoco di Sant’Antonio

I sintomi del fuoco di Sant’Antonio dipendono dall’infiammazione dei nervi che vengono colpiti dal virus. La tipica eruzione cutanea può essere infatti preceduta da:

  • bruciore
  • irritazione
  • formicolio
  • dolori lancinanti
  • sensibilizzazione della pelle.

Questi sintomi si sviluppano a livello delle fibre nervose infettate (da un lato del tronco o, in caso di herpes zoster oticus, a livello del nervo dell’orecchio).

Questa fase può durare alcuni giorni, dopo i quali compaiono grappoli di vescicole ripiene di liquido e circondate da pelle arrossata. Fa eccezione il cosiddetto zoster sine herpete, in cui l’eruzione cutanea è assente.

Scopri i biotici studiati sull’immunostimolazione

Fuoco di Sant’Antonio: durata e contagio

Il virus può trasmettersi sia per contatto con le vescicole sia per via aerea e tramite goccioline di saliva. Solo le persone in cui l’infezione si è riattivata e in cui è presente il rash cutaneo sono contagiose; chi vi entra in contatto senza aver mai avuto la varicella può sviluppare questa malattia dopo un periodo di incubazione variabile tra 10 e 21 giorni.

I primi sintomi precedono di 2-3 giorni la comparsa dell’eritema; dopodiché, le vescicole continuano a formarsi per altri 3-5 giorni. Dopo circa 5 giorni iniziano a formarsi le croste, proprio come avviene nel caso della varicella. A questo punto l’infezione non è più contagiosa.

Purtroppo, però, il dolore può durare settimane, mesi o addirittura anni. Questo fenomeno prende il nome di nevralgia posterpetica e può compromettere significativamente la qualità della vita non solo a causa del dolore, ma anche delle sue conseguenze (insonnia, affaticamento, limitazioni nelle attività quotidiane e depressione).

Le cure per il fuoco di Sant’Antonio

Il fuoco di Sant’Antonio si cura agendo principalmente sul dolore cercando, allo stesso tempo, di prevenire la nevralgia posterpetica. Negli adulti sia il dolore acuto sia la durata del dolore cronico possono essere ridotti assumendo entro 72 ore dalla comparsa del rash farmaci antivirali, che agiscono bloccando la replicazione del virus.

Nel 20-30% dei casi, però, il dolore può persistere per mesi anche se gli antivirali sono stati assunti per tempo. Per questo la strategia migliore è evitare il contagio con un vaccino.

Attualmente sono disponibili sia un vaccino contro la varicella sia il vaccino contro il fuoco di Sant’Antonio. Quest’ultimo è consigliato al di sopra dei 50 anni e ha come uniche controindicazioni stati di immunodeficienza (ovvero un deficit del sistema immunitario), terapie immunosoppressive (ovvero che inibiscono l’azione delle cellule immunitarie), tubercolosi attiva non trattata, ipersensibilità ai componenti del vaccino e la gravidanza. I vaccini contro l’herpes zoster, inoltre, devono essere evitati nel mese precedente il concepimento.

Altri trattamenti utili prevedono per esempio l’uso di analgesici (antinfiammatori non steroidei o oppioidi) o corticosteroidi. Solo in casi estremi può essere necessario ricorrere all’iniezione di un anestetico per alleviare il dolore.

Scopri i biotici studiati sull’immunostimolazione

Microbiota intestinale e fuoco di Sant’Antonio

Uno studio pubblicato su Frontiers in Medicine nel 2024 ha per la prima volta indagato il possibile legame di causa-effetto tra la composizione del microbiota intestinale e l’herpes zoster. L’ipotesi da cui parte lo studio è affascinante: esiste un rapporto tra lo stato del nostro microbiota intestinale e la probabilità di sviluppare l’herpes zoster? E, allo stesso tempo, l’infezione virale può a sua volta modificare la flora batterica dell’intestino? Per rispondere a queste domande, i ricercatori hanno utilizzato una tecnica chiamata “randomizzazione mendeliana”, una strategia innovativa che sfrutta le variazioni genetiche come strumenti per comprendere i legami di causalità tra due fenomeni. In questo caso, hanno incrociato dati genetici provenienti da ampi database internazionali sul microbiota intestinale e sull’herpes zoster, analizzando oltre 200 batteri intestinali e decine di migliaia di dati clinici.

I risultati sono sorprendenti. Alcuni microrganismi sembrano aumentare il rischio di riattivazione del virus. In particolare, il batterio del genere Tyzzerella 3, finora poco studiato, è emerso come un possibile fattore di rischio: la sua presenza nell’intestino è associata a una maggiore probabilità di sviluppare l’herpes zoster. Un altro gruppo sospetto è quello delle Cianobatteri, noti per la capacità di produrre sostanze neurotossiche: potrebbero creare nell’organismo un ambiente favorevole alla riattivazione virale, anche danneggiando le cellule nervose.

Ma lo studio ha esplorato anche il percorso inverso, chiedendosi se fosse l’herpes zoster stesso a provocare alterazioni nel microbiota. Anche in questo caso, la risposta è sì. In presenza dell’infezione virale, si è osservata una riduzione del gruppo Eubacterium hallii, noto per il suo ruolo protettivo: questi batteri producono acidi grassi a corta catena che aiutano a mantenere l’equilibrio immunitario e la salute dell’intestino. Al contrario, in presenza dell’herpes zoster sembrano proliferare batteri “opportunisti” come Escherichia/Shigella, Veillonella e alcuni appartenenti al phylum Proteobacteria, microrganismi in grado di approfittare di un sistema immunitario debilitato.

In altre parole, questa ricerca apre nuovi scenari. Non solo conferma che il microbiota e il sistema immunitario sono profondamente intrecciati, ma suggerisce che agire sul primo — attraverso la dieta, l’uso mirato di probiotici o stili di vita che riducano lo stress — potrebbe aiutare a prevenire o mitigare una malattia virale tanto diffusa e invalidante come il fuoco di Sant’Antonio. Naturalmente, si tratta di un primo passo. Lo studio ha dei limiti, legati alla popolazione analizzata (europea), alla mancanza di analisi dirette sul microbiota dei pazienti e all’impossibilità di studiare i singoli ceppi batterici nel dettaglio. Ma le basi sono state gettate.

Nel futuro, potremmo immaginare strategie di prevenzione che tengano conto della composizione della flora intestinale, in particolare nei soggetti più fragili come gli anziani o le persone immunodepresse. E forse, un giorno, curare o prevenire un virus come l’herpes zoster potrebbe passare anche dal benessere dell’intestino.