Le microplastiche sono particelle di plastica non visibili a occhio nudo per le loro dimensioni molto piccole (inferiori ai 5 mm), composte da miscele di polimeri e additivi funzionali. 

Si creano dalla frammentazione di oggetti più grandi come i tessuti sintetici o gli pneumatici, ma sono anche inserite intenzionalmente in molti prodotti, ad esempio come esfolianti in creme per il corpo o il viso. 

Una volta rilasciate nell’ambiente non si decompongono, ma si accumulano nella catena alimentare. Ecco perché si possono trovare in quasi tutto ciò che mangiamo: dalla frutta e verdura (fino a 233.000 particelle per grammo), alla carne, riso, zucchero, miele, sale, spezie e persino nell’acqua, soprattutto nelle bottigliette di plastica. 

In media si stima che ciascuno di noi possa ingerire fino a 5 grammi di plastica alla settimana: l’equivalente di una carta di credito!

Effetti delle microplastiche sul microbiota intestinale

Anche se restano ancora da chiarire molti aspetti, la ricerca sta mostrando che gran parte degli effetti negativi sulla salute di queste sostanze passino attraverso il microbiota.  

Una recente indagine ha studiato i possibili effetti negativi delle microplastiche sulla salute umana. Tra i tanti danni delle microplastiche ha individuato stress ossidativo, aumento dell’infiammazione, tossicità su cellule, embrioni, e numerosi organi e apparati come sistema nervoso, fegato, reni, ma anche possibilità di causare tumori, problemi riproduttivi e tossicità che si trasmette alle generazioni successive.

Da anni sappiamo che le microplastiche sono in grado di provocare una perturbazione endocrina, cioè di disturbo del funzionamento dei nostri ormoni. Solo di recente tuttavia la ricerca si sta occupando di un meccanismo inizialmente trascurato: l’impatto delle microplastiche sul microbiota. 

Diversi studi hanno contribuito a spiegare il modo in cui il microbiota faccia da mediatore di questi effetti nefasti delle microplastiche e altri inquinanti. 

Ciò che accomuna i risultati di tutte queste ricerche è che, introducendo con l’alimentazione dosi anche piccole di microplastiche e polimeri, si osserva un’alterazione del microbiota, tipicamente caratterizzata da una riduzione della biodiversità e della quota dei Bacteroidetes – uno dei principali gruppi di batteri che vivono nel nostro intestino-. 

Altri risultati comuni a diversi studi sono la diminuzione della secrezione di muco intestinale e l’aumento dell’infiammazione intestinale con compromissione della barriera intestinale (leaky gut) e passaggio nel circolo sanguigno di LPS, un componente di alcuni batteri detti gram-negativi che risulta particolarmente tossico per il nostro corpo; una volta in circolo attraverso la vena porta l’LPS arriva direttamente al fegato provocando una tossicità sia locale sia sistemica.

La conseguenza è un’alterazione del metabolismo sia degli zuccheri che dei grassi, associata a un’infiammazione sistemica di basso grado. 

È interessante notare che questa situazione è molto simile al tipico quadro di insulino-resistenza associata a infiammazione cronica di basso grado e obesità viscerale così diffuso nella nostra società, che si può manifestare sotto forma di sindrome metabolica, e/o diabete tipo II e/o dislipidemie.

Microbiota e ormoni

Come è noto, il ruolo del microbiota è centrale anche nel funzionamento dei nostri ormoni, dato che interviene sia nella loro sintesi che nel loro smaltimento. 

È anche noto che alcune microplastiche hanno effetti di perturbazione endocrina, ovvero vanno a disturbare il normale funzionamento dei nostri ormoni. 

Ma quanto di questo effetto di perturbazione endocrina dipende dal microbiota? Alcune ricerche hanno cercato di rispondere anche a questa domanda ed è emerso per esempio che i bisfenoli (contenuti in molti materiali plastici di uso quotidiano) possono compromettere l’integrità della barriera ematotesticolare, e di conseguenza la quantità e qualità degli spermatozoi; ma anche che l’integrità di tale barriera si può ripristinare somministrando un ceppo probiotico che sintetizza acidi grassi a catena corta. 

Dunque, un microbiota con un buon potenziale di sintesi di acidi grassi può proteggere dagli effetti dannosi di queste sostanze.  

È stato altresì osservato come queste sostanze, se introdotte anche in piccole quantità durante la gravidanza, possono provocare alterazioni del microbiota durante lo sviluppo del feto nel grembo materno. Questo può predisporre il neonato a un rischio maggiore di sviluppare alcune malattie nella sua futura vita adulta.

Conclusioni

La panoramica complessiva che emerge su questo fenomeno è preoccupante, ma apre anche nuove possibilità di ricerca scientifica. 

Se da un lato è ancora necessario chiarire molte questioni, dall’altro le prove finora disponibili suggeriscono che il microbiota può avere un ruolo fondamentale sia come bersaglio degli effetti negativi delle microplastiche, sia come potenziale linea difensiva contro questi effetti, ad esempio attraverso una buona funzionalità di sintesi di acidi grassi a catena corta. 

Quindi, mantenere o ripristinare l’equilibrio del nostro microbiota potrebbe essere uno degli strumenti per proteggerci dai danni delle microplastiche.