Una dieta sana è spesso associata a una migliore salute riproduttiva, ma un nuovo studio suggerisce che anche “troppo sana” potrebbe diventare un rischio.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Nutrition, ha analizzato il legame tra alimentazione e fertilità femminile, rivelando che esiste un punto di svolta oltre il quale anche una dieta “ideale per il microbiota” potrebbe smettere di essere benefica.
Fertilità e microbiota
L’infertilità colpisce oggi circa una coppia su otto in età fertile, e viene ormai considerata una priorità globale di salute pubblica, dopo malattie cardiovascolari e tumori. Le cause possono essere molteplici: disfunzioni ovulatorie, sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), endometriosi, problemi tubarici o immunologici.
Ma sempre più studi stanno evidenziando il ruolo del microbiota intestinale nella regolazione degli ormoni sessuali, dell’infiammazione sistemica e della risposta immunitaria, tutti fattori implicati nella fertilità femminile.
Una dieta in grado di sostenere un microbiota equilibrato può dunque rappresentare una strategia non farmacologica per migliorare la salute riproduttiva.
L’indice DI-GM: un nuovo strumento per misurare la “dieta del microbiota”
Per condurre l’indagine, i ricercatori hanno utilizzato un nuovo indicatore chiamato DI-GM (Dietary Index for Gut Microbiota), un punteggio che valuta la qualità della dieta in base al suo impatto sulla diversità del microbiota intestinale.
L’indice tiene conto di 14 elementi: 10 considerati favorevoli (come avocado, broccoli, ceci, fibre, tè verde, cereali integrali e latticini fermentati) e 4 sfavorevoli (come carni rosse, insaccati, cereali raffinati e diete ricche di grassi).
Il punteggio DI-GM è stato calcolato per oltre 3.000 donne americane tra i 18 e i 45 anni, utilizzando questionari alimentari e dati del database nazionale NHANES (2013–2018). Di queste, il 12% è risultato essere infertile.
Se troppo sano può diventare un problema?
I risultati hanno mostrato che le donne con punteggi DI-GM bassi erano più spesso infertili, e che all’aumentare del punteggio diminuiva il rischio di infertilità, ma solo fino a un certo punto. Oltre la soglia del punteggio 8, infatti, il rischio ricominciava ad aumentare. In altre parole: una dieta troppo orientata al microbiota potrebbe non essere sempre positiva per la fertilità.
Lo studio ha anche rilevato che le partecipanti infertili tendevano ad avere valori più alti di trigliceridi e glicemia a digiuno, e livelli più bassi di colesterolo HDL (“buono”).
I ricercatori sottolineano che, nonostante i benefici noti di una dieta ricca di fibre, vegetali e alimenti fermentati sul microbiota intestinale, un eccesso di alcuni nutrienti o restrizioni eccessive (ad esempio, eliminare completamente fonti proteiche animali o grassi) potrebbe disturbare altri aspetti del metabolismo o della regolazione ormonale.
Non è chiaro il motivo preciso per cui un punteggio DI-GM molto alto sia associato a un maggiore rischio di infertilità, ma l’ipotesi è che l’equilibrio della dieta sia più importante della semplice “qualità” degli alimenti, specialmente in relazione alla funzione ormonale e riproduttiva.
I ricercatori concludono che il punteggio DI-GM potrebbe diventare un utile strumento per guidare interventi nutrizionali personalizzati contro l’infertilità, ma sottolineano l’importanza di non estremizzare l’alimentazione. Il messaggio chiave? Una dieta sana, varia e bilanciata è meglio che una “perfetta”, ma squilibrata.
Come sempre in ambito nutrizionale, l’equilibrio è la chiave: non si tratta di eliminare o accumulare un certo tipo di alimenti, ma di costruire un pattern alimentare armonioso che sostenga non solo il microbiota, ma anche l’intero sistema riproduttivo femminile.