Può succedere a chiunque: si va dal medico per un controllo di routine, si fa un prelievo del sangue e quando si va a ritirare gli esiti si rimane a bocca aperta. «Ma come? Sto bene, non ho nemmeno un acciacco, e il colesterolo è così alto?».

Sono oltre 10 milioni gli italiani che soffrono di ipercolesterolemia, il termine con cui i medici chiamano i valori di colesterolo superiori a 200 milligrammi per decilitro.

È fondamentale fare subito una distinzione tra quello cosiddetto buono e quello cattivo. Il primo, l’Hdl, cattura il colesterolo in più e lo riporta al fegato, dove viene eliminato. Il secondo, l’Ldl, si attacca più facilmente alle pareti interne delle arterie. Ed è quest’ultimo il vero problema per il cuore.

Colesterolo e alimentazione

Se i valori del colesterolo sono più alti della norma è necessario parlarne con il proprio medico di famiglia. Il quale potrà decidere, sulla base di vari parametri, se richiedere una visita specialistica oppure se ripetere l’esame, magari lasciando passare un po’ di tempo.

La decisione di assumere farmaci specifici per abbassare il colesterolo spetta al medico, ma in tutti i casi è bene adottare alcuni comportamenti che possono aiutare.

Anzitutto bisogna sapere che ad aumentare i livelli di colesterolo nel sangue non è un singolo alimento, ma la dieta nell’insieme e lo stile di vita. 

Gli esperti sostengono che sia opportuno limitare l’apporto quotidiano di colesterolo entro i 300 milligrammi, ma oltre alla quantità è fondamentale la qualità dei grassi presenti nelle pietanze: quelli insaturi aumentano il colesterolo buono, i saturi invece favoriscono quello cattivo. 

L’importante è non vivere le restrizioni alimentari come un incubo. Per esempio le uova, un tempo vietatissime a chi aveva il colesterolo alto, non sono un tabù. Basta non esagerare: un uovo ne contiene circa 185 milligrammi. Si può tranquillamente mangiare un uovo per volta, non più di due o tre volte la settimana senza correre rischi.

E la carne? Disco verde per quella bianca, più attenzioni con la rossa. Coniglio, pollo e tacchino hanno meno grassi saturi del manzo e del maiale. E chi non riesce a fare a meno degli insaccati basta che faccia attenzione ai punti bianchi: più ce n’è, più sono grassi. Il meno pericoloso è il prosciutto crudo magro: contiene circa 60 milligrammi di colesterolo ogni etto. Cartellino rosso alle frattaglie: il fegato contiene in media 300 milligrammi di colesterolo, il rognone 375.

Pesce e cereali vanno benissimo, qualche attenzione per latte e derivati. Questi ultimi non vanno mai mangiati insieme alla carne. Ma quelle che non devono mai mancare sulla tavola di chi ha il colesterolo alto, e non solo, sono frutta e verdura. Preziose fonti di antiossidanti, fitosteroli, omega 3 e fibre, insieme all’acqua che contengono, rendono più rapido il passaggio del cibo nell’intestino, riducendo così l’assorbimento del colesterolo.

Colesterolo e attività fisica

Una camminata e il colesterolo scende. Può sembrare una sciocchezza, ma è proprio così. Stando ai risultati di una ricerca australiana, camminare di buon basso, cioè con un’andatura abbastanza sostenuta, è un valido aiuto per tenere sotto controllo l’eccesso di colesterolo nel sangue. Un modo semplice, alla portata di tutti e soprattutto economico, per tenere pulite le arterie.

Secondo i ricercatori, infatti, un’attività fisica regolare (cinque giorni su sette) di tipo aerobico di almeno 30 minuti è in grado di aumentare i livelli di Hdl, migliorando così il rapporto con l’Ldl. E chi proprio non trova nessun piacere nel camminare? Nessun problema. Gli stessi effetti benefici si vedono dopo mezz’ora di pedalata in bicicletta, di sci di fondo o di nuoto.

Attività fisica e microbiota intestinale

Il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microorganismi che abitano il nostro intestino, svolge un ruolo cruciale nella salute generale. Le ricerche mostrano che le persone attive fisicamente, come gli atleti, tendono ad avere un microbiota più vario e ricco di batteri benefici come Akkermansia e Prevotella, che sono associati a uno stato di salute ottimale. L’attività fisica sembra influenzare positivamente questo ecosistema interno, aumentando la produzione di sostanze come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), che hanno effetti benefici sulla barriera intestinale e sul metabolismo energetico.

La relazione tra esercizio fisico e microbiota è bidirezionale: non solo l’attività fisica modifica il microbiota, ma quest’ultimo può influenzare la performance fisica. Per esempio, durante esercizi intensi, il muscolo produce lattato, che nel colon favorisce la crescita di certi batteri, i quali a loro volta producono SCFA come il propionato, migliorando le prestazioni atletiche.

La dieta gioca un ruolo chiave in questa interazione. Gli sportivi, che spesso seguono regimi alimentari ricchi di fibre e poveri di carne processata, hanno un microbiota diverso da quello di persone sedentarie. Gli studi hanno osservato che una maggiore assunzione di fibre si traduce in un aumento di batteri protettivi e anti-infiammatori come Akkermansia muciniphila e Faecalibacterium prausnitzii.

In breve, le attività fisiche moderate o intense non solo aiutano il corpo a mantenersi in forma, ma sono anche vitali per mantenere un microbiota intestinale variegato e funzionale, che a sua volta supporta la salute generale e può migliorare le prestazioni sportive.