Il digiuno intermittente ha dimostrato di apportare notevoli benefici per la nostra salute, modulando positivamente condizioni di stress ossidativo, disturbi metabolici o cardiovascolari. Il microbiota intestinale, principale mediatore di questi effetti positivi, risponde però in maniera diversa in base alla durata del digiuno. Sedici ore tra un pasto e l’altro sembrerebbe essere l’intervallo più efficace, nonostante la ripresa della normale alimentazione induca la perdita delle alterazioni positive promosse dal periodo di digiuno.
È quanto conclude lo studio di Linghao Li e colleghi della Kunming University of Science and Technology (Kunming, Cina), recentemente pubblicato su BMC Microbiology.
Digiuno intermittente ancora senza regole
Nonostante la pratica del digiuno abbia e stia dando risultati positivi in diverse condizioni di salute, data l’eterogeneità dei protocolli applicati poco si sa della relazione tra l’esatta durata del digiuno e l’impatto sulla componente intestinale.
A tal proposito, un gruppo di ricercatori ha confrontato l’apporto di cibo e il profilo batterico in modelli murini sani sottoposti rispettivamente a 12, 16 o 20 ore di digiuno per 30 giorni. Un gruppo alimentato normalmente per tutto lo studio è stato considerato come controllo. A tale periodo è seguita poi un’ulteriore fase di normale alimentazione (ad libitum) di 30 giorni per verificare l’eventuale permanenza dei cambiamenti e dei benefici indotti dal digiuno. Di seguito i principali risultati.
Per quanto riguarda l’intake di cibo durante il periodo di digiuno, è stato osservato che:
- l’apporto di cibo è risultato significativamente ridotto nei gruppi in digiuno per 16 e 20 ore rispetto ai controlli, nessun cambiamento significativo invece nel gruppo a 12 ore
- a un mese dall’interruzione del digiuno, rispetto al gruppo controllo l’apporto di cibo è significativamente aumentato nel gruppo in digiuno per 20 ore, non nei restanti (12 e 16 ore)
- la lunghezza del digiuno ha mostrato correlazione negativa con l’introito di cibo durante questo periodo. Correlazione positiva tra le due variabili invece una volta ripresa la dieta normale.
Nonostante, rispetto ai controlli, i modelli in digiuno abbiano perso peso durante tale periodo, la differenza si è annullata una volta ripresa la normale alimentazione.
Cosa succede nell’intestino
Passando invece alla componente batterica, è emerso che:
- non è stata registrata alcuna differenza significativa tra i gruppi in termini di alpha-diversity
- di contro, importanti differenze sono state evidenziate nella composizione del microbiota tra gruppi in digiuno e non. Alterazioni anche in base alla durata del digiuno, tutte annullate dalla sua interruzione, tranne per il gruppo in digiuno per 16 ore
- sono state riscontrate differenze di OTUs principalmente tra il gruppo in digiuno per 16 ore e il gruppo controllo, con un arricchimento di Clostridia (famiglia Akkermansiaceae, genere Akkermansia) e una riduzione di Rikenellaceae, Ruminococcaceae e del genere Alistipes. Ancora una volta, a un mese dall’interruzione del digiuno è stato registrato l’annullamento di tali differenze
- nessuna differenza a livello tassonomico durante tutto lo studio tra il gruppo controllo e i gruppi in digiuno per 12 e 16 ore.
Seppur in maniera transitoria, il digiuno intermittente impatta sul microbioma con gli effetti maggiori a 16 ore. Per questo motivo il medico di fiducia potrebbe consigliare un test del microbiota intestinale. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di ottimizzare il protocollo per potenziarne i benefici anche a lungo termine.