L’impatto delle patologie cardiovascolari in Italia, così come in molti altri Paesi occidentali, è molto alto; nel loro complesso le malattie del sistema circolatorio rappresentano infatti la prima causa di morte in Italia, con oltre 200.000 morti all’anno.
A questo gruppo eterogeneo di patologie appartiene l’infarto del miocardio (il muscolo cardiaco), che solitamente si verifica a seguito della formazione di un trombo (un agglomerato di sangue coagulato) che occlude un’arteria provocando ischemia, cioè l’interruzione dell’afflusso di ossigeno e nutrienti al cuore. Quando invece l’ischemia è a carico di uno dei vasi sanguigni che arriva al cervello, si può andare incontro a un ictus.
Ipertensione, vita sedentaria, sovrappeso e obesità, fumo di sigaretta sono le principali cause di ischemia. Ma esistono anche alcuni fattori di rischio “a breve termine”: quegli elementi che non fungono tanto da terreno fertile sul lungo periodo, ma che costituiscono un vero e proprio trigger, ossia innesti, dell’evento cardiovascolare.
Tra questi sembrano svolgere un ruolo primario le malattie infettive, che possono sia sottoporre a stress prolungato i vasi sanguini, sia favorire lo sviluppo di un trombo.
Di particolare interesse è l’ipotesi, ormai postulata quasi un secolo fa, che possa esistere un’associazione tra malattie respiratorie infettive di tipo virale, come l’influenza, e l’ischemia, che può causare eventi cardiovascolari come infarto e ictus.
Una teoria molto interessante perché, se confermata, suggerirebbe la possibilità di poter prevenire una porzione degli eventi cardiovascolari acuti tramite la vaccinazione antinfluenzale.
L’impatto dell’influenza sulla salute cardiovascolare
La conferma, in effetti, è recentemente arrivata a seguito di due studi, entrambi pubblicati nel 2018. La ricerca guidata da Jeffrey Kwong dell’Institute for Clinical Evaluative Sciences (Toronto) ha paragonato i dati relativi al numero di ricoveri per infarto in un periodo “a rischio” (i 7 giorni successivi alla conferma, data da analisi di laboratorio, dell’infezione da influenza) e in un periodo controllo (un anno precedente e un anno successivo alla diagnosi).
I numeri lasciano poco margine di incertezza: i ricoveri durante la settimana “a rischio” erano circa 6 volte più frequenti (20 contro 3,3 a settimana) di quelli dei periodi di controllo. Durante l’analisi dei dati sono stati poi osservati alcuni trend interessanti, anche se non confermati da analisi statistiche: il rischio di infarto era maggiore nella popolazione più anziana e per coloro che non avevano mai subìto un infarto.
Lo studio condotto alla Columbia University e pubblicato su Annals of Clinical and Translational Neurology ha invece preso in considerazione il rischio di ictus ischemico, dimostrandone l’aumento nelle prime due settimane successive a una sindrome simil-influenzale, anche per gli under 45. Anche questo è un dato altamente significativo, se si pensa che ad oggi il 10-14% degli ictus (una percentuale aumentata negli ultimi anni, probabilmente a seguito dei cambiamenti nello stile di vita) riguarda persone adulte di età compresa tra i 18 e i 45 anni.
I benefici della vaccinazione antinfluenzale
Le raccomandazioni sulle vaccinazioni antinfluenzali nel nostro Paese, e in particolare quelle che definiscono quali fasce considerare a rischio, tengono già conto di questi dati: il vaccino infatti è attualmente raccomandato (e gratuito) non soltanto per le persone oltre i 65 anni (popolazione generalmente più a rischio di infarti ischemici coronarici), ma anche per i più giovani, in presenza di patologie cardiovascolari o altre comorbidità. In tutti questi soggetti, infatti, la vaccinazione può essere un facile strumento preventivo per limitare il rischio di eventi cardiovascolari.
Microbiota e influenza, un legame nascosto
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha rivelato un collegamento molto interessante tra il microbiota intestinale e l’influenza, suggerendo che questa comunità di microorganismi potrebbe influenzare non soltanto la gravità dell’infezione, ma anche il decorso della malattia.
Questo legame, noto come asse intestino-polmone, apre nuove prospettive per trattamenti innovativi e personalizzati contro le infezioni virali respiratorie.
Studi recenti hanno mostrato che, in caso di infezione influenzale, la composizione del microbiota intestinale cambia significativamente, con una riduzione di batteri benefici come Bacteroidetes e Bifidobacterium e un aumento di batteri dannosi come Proteobacteria.
Questi squilibri possono indebolire le difese immunitarie, aumentando la suscettibilità alle infezioni secondarie e aggravando la risposta infiammatoria.
Metaboliti prodotti dal microbiota, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell’immunità. Durante l’influenza, la produzione di SCFA diminuisce, compromettendo la funzione della barriera intestinale e aumentando il rischio di infezioni batteriche secondarie.
Gli acidi grassi a catena corta (SCFA), come l’acetato, regolano la risposta immunitaria e riducono l’infiammazione polmonare. Supplementazioni con SCFA o diete ricche di fibre potrebbero dunque migliorare la resistenza all’influenza
Anche aminoacidi essenziali come il triptofano e la valina influenzano l’attività immunitaria attraverso la produzione di metaboliti che potenziano la risposta antivirale e riducono i danni infiammatori
Infine sappiamo che alcuni acidi biliari, prodotti dal metabolismo del microbiota, hanno dimostrato di inibire la replicazione del virus influenzale e ridurre l’infiammazione
Cosa dicono gli studi sulla modulazione del microbiota? Alcune ricerche precliniche suggeriscono che il trapianto di microbiota potrebbe ripristinare l’equilibrio, riducendo i danni polmonari e migliorando l’immunità sistemica. Sappiamo anche che l’uso di ceppi specifici di probiotici, come Lactobacillus e Bifidobacterium, può rafforzare la barriera intestinale e migliorare la risposta immunitaria alle infezioni.
La comprensione del ruolo del microbiota nell’influenza è ancora in evoluzione. Identificare i ceppi batterici chiave e i metaboliti specifici coinvolti potrebbe portare a interventi mirati per prevenire e trattare non solo l’influenza, ma anche altre infezioni respiratorie virali.