Il trapianto di microbiota fecale (in inglese Fecal Microbiota Transplant, FMT) consiste nel trasferire materiale fecale da un donatore sano all’intestino di un paziente con l’intento di ripristinare l’equilibrio della flora intestinale compromessa. Questa procedura, eseguita mediante tecniche quali clistere, colonscopia o capsule orali, mira principalmente all’eliminazione di agenti patogeni e al ripristino di una comunità microbica equilibrata nell’intestino del ricevente.
Negli ultimi anni, l’interesse verso il trapianto di microbiota come strategia terapeutica si è notevolmente intensificato, specialmente nel trattamento di infezioni intestinali ricorrenti causate dal batterio Clostridioides difficile, un’area in cui ha dimostrato efficacia. Il potenziale di questa pratica nel trattare altre condizioni c’è ed è stato testato in diversi studi, ma rimane un campo ancora aperto della ricerca. È necessario infatti approfondire le conoscenze per comprendere appieno i suoi benefici e i rischi associati.
Nonostante l’entusiasmo, permane tra molti esperti una certa cautela riguardo ai possibili effetti collaterali del trapianto fecale, inclusa la preoccupazione per la trasmissione di agenti patogeni resistenti ai farmaci o malattie infettive quali HIV ed epatite. La sicurezza del paziente è al centro delle preoccupazioni, con studi clinici che stanno meticolosamente valutando gli esiti avversi potenziali.
Due pubblicazioni del 2020 su Cell Host & Microbe hanno esplorato i nuovi ambiti clinici in cui il trapianto di microbiota potrebbe essere impiegato in modo sicuro ed efficace. Kate Markey, ematologo presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e co-autore di uno di questi studi, esprime ottimismo per il futuro della ricerca sul trapianto, evidenziando il potenziale di questa metodica nel migliorare significativamente la qualità di vita e la prognosi dei pazienti in determinate condizioni. La ricerca continua a progredire, con la speranza di ampliare le applicazioni cliniche del trapianto fecale e di ottimizzarne l’efficacia e la sicurezza.
Trapianto fecale: approcci attuali e futuri
Esistono diversi approcci per il trapianto di microbiota fecale, scegliere la procedura più efficace e sicura presenta diverse sfide ancora oggi complesse. Innanzitutto, la varietà del microbiota intestinale tra gli individui e l’assenza di un modello definito per un microbiota “ideale” nei soggetti sani complicano la standardizzazione dei trattamenti. In aggiunta, le modifiche al microbiota possono differire in base alla patologia specifica e persino tra pazienti affetti dalla stessa condizione, mentre i meccanismi esatti attraverso cui le cosiddette disbiosi influenzano negativamente la salute non sono ancora completamente compresi.
Una possibile soluzione ai problemi di sicurezza consiste nel prelevare ed esaminare le feci di un individuo per rilevare la presenza di agenti patogeni, conservare il campione in apposite biobanche e, in seguito utilizzarlo per lo stesso individuo in caso di squilibrio microbico. Questo approccio richiederebbe l’istituzione di numerose biobanche e la conservazione a lungo termine dei campioni, con conseguenti costi significativi.
L’opzione della donazione diretta, in cui le feci vengono trasferite direttamente da un donatore a un ricevente, offre il vantaggio della disponibilità immediata di campioni, ma comporta il rischio di trasmettere infezioni.
Un terzo metodo prevede l’utilizzo di consorzi batterici specifici o dei loro prodotti metabolici. Questa strategia permetterebbe la produzione in grande scala e un controllo qualitativo rigoroso, facilitando la conduzione di studi clinici. Tuttavia, l’identificazione dei componenti ottimali di tali consorzi batterici rimane a tutt’oggi una sfida.
Ciascuna di queste strategie presenta vantaggi e limitazioni, rendendo fondamentale una valutazione attenta per garantire l’efficacia del trattamento e la sicurezza dei pazienti. La ricerca continua a evolversi in questo campo dinamico, con lo scopo di ottimizzare le pratiche di trapianto di microbiota e sfruttarne i potenziali benefici terapeutici.
L’efficacia del trapianto di microbiota
I microrganismi residenti nel nostro intestino e i loro prodotti metabolici svolgono un ruolo cruciale nella regolazione di moltissimi parametri associati alla nostra salute e nella predisposizione a diverse patologie. Di conseguenza, “le preparazioni per il trapianto di microbiota potrebbero essere personalizzate per soddisfare le esigenze di specifici gruppi di pazienti, incorporando ceppi batterici con proprietà benefiche mirate”, suggeriscono i ricercatori.
Ad esempio, determinati batteri sono in grado di stimolare l’attività delle cellule immunitarie nel sistema digestivo, mentre altri possono offrire una barriera contro le infezioni da Clostridioides difficile e da patogeni resistenti a molteplici farmaci.
Gli autori sottolineano l’importanza di approfondire la ricerca per decifrare i meccanismi attraverso cui il trapianto di microbiota produce effetti terapeutici, stabilendo parametri essenziali quali la quantità ottimale di materiale da trasferire e le modalità più efficaci di somministrazione.
“Per garantire studi di elevata qualità, è fondamentale che le pratiche di trapianto siano continuamente migliorate e valutate con lo stesso rigore scientifico e attenzione metodologica riservati allo sviluppo di nuovi farmaci”, concludono gli autori. Questo impegno verso l’eccellenza nella ricerca contribuirà a ottimizzare le strategie di FMT, massimizzando i benefici terapeutici per i pazienti.
Fondamentale la colonizzazione (engraftment)
Come abbiamo visto, il trapianto di microbiota si è rivelato un trattamento efficace contro infezioni ricorrenti causate da batteri dannosi, ma la sua adozione in pratica clinica è stata rallentata da incertezze scientifiche. Una recente ricerca tutta italiana ha evidenziato che il successo del trapianto è correlato ai livelli di colonizzazione dei microbi intestinali trasferiti, con risultati pubblicati su Nature Medicine che promettono di migliorare i protocolli di trapianto e la selezione dei donatori.
Il trapianto fecale, utilizzabile tramite colonscopia o capsule orali, è un’opzione terapeutica emergente per disturbi legati al microbiota come la sindrome dell’intestino irritabile. Tuttavia, restava incerta la capacità dei microrganismi trapiantati di colonizzare efficacemente l’intestino del ricevente.
Lo studio condotto da Gianluca Ianiro (Policlinico Gemelli di Roma) e Nicola Segata (Università di Trento) ha analizzato 1.371 campioni di microbiota intestinale, rivelando che una maggiore colonizzazione si traduce in migliori esiti clinici. In particolare, l’engraftment è stato più rilevante in pazienti con malattie infettive rispetto a quelli con disturbi cronici e si è visto migliorare in seguito a terapia antibiotica pre-trapianto o mediante l’uso combinato di diverse modalità di somministrazione.
La ricerca ha anche identificato specie microbiche, come Proteobacteria e Actinobacteria, che tendono a colonizzare più efficacemente rispetto ad altre. Grazie a tecniche di sequenziamento avanzate, è ora possibile individuare donatori con un microbiota ottimale per specifici riceventi o obiettivi terapeutici, potenziando così la personalizzazione del trattamento.
Trapianto di microbiota: cosa dice la normativa?
Paul Carlson, esperto della Food and Drug Administration (FDA) e coautore di un recente studio, delinea le normative stabilite dall’ente per la regolamentazione del trapianto di microbiota e propone raccomandazioni per massimizzare la sicurezza dei pazienti.
Data la potenziale esposizione a infezioni gravi nell’utilizzo della procedura, la FDA enfatizza la necessità di adottare precauzioni aggiuntive. Ciò include uno screening meticoloso dei donatori per escludere individui a rischio di trasmettere organismi resistenti a più farmaci e altri patogeni quali Enterobacteriaceae e Staphylococcus aureus meticillino-resistente.
Carlson evidenzia anche l’importanza di definire standard rigorosi per i processi di produzione e i controlli di qualità, tra cui l’individuazione delle condizioni ideali per la conservazione di campioni fecali congelati o liofilizzati, al fine di proteggere i microrganismi benefici che potrebbero essere compromessi dai processi di congelamento e scongelamento o dalla liofilizzazione stessa.
L’introduzione di ambienti anaerobici nella preparazione dei materiali per il trapianto può essere cruciale per preservare la vitalità di batteri anaerobi benefici, che risulterebbero altrimenti danneggiati dall’esposizione all’ossigeno.
Per garantire la consistenza e l’efficacia nel tempo del materiale destinato al trapianto di microbiota, saranno necessari metodi validati per valutare la “potenza” del prodotto, ovvero una stima affidabile del numero di microrganismi vitali contenuti nel prodotto finito, come sottolineato da Carlson.
Anche se il percorso verso l’adozione routinaria del trapianto richiede ulteriori studi e validazioni, vi è un cauto ottimismo nella comunità scientifica. “Con il progredire e la conclusione degli studi in corso, si delineerà il vero potenziale terapeutico della procedura”, afferma Kate Markey, manifestando fiducia nel futuro di questa innovativa terapia.
Nuovi possibili applicazioni
Lesione del midollo spinale
Il trapianto di microbiota potrebbe rivelarsi un approccio promettente nel trattamento della lesione del midollo spinale (SCI), attraverso il ripristino dell’equilibrio microbico intestinale e la modulazione dell’infiammazione, aprendo nuove prospettive per la terapia di questa complessa condizione.
La lesione del midollo spinale rappresenta un grave trauma con limitate opzioni terapeutiche. La reazione immuno-infiammatoria che segue il danno non si attenua facilmente, contribuendo alla complessità del recupero. Un ruolo significativo in questo contesto è giocato dalle cellule T del sistema immunitario, le cui funzioni sono influenzate dall’equilibrio microbico intestinale.
Ricerche recenti hanno esplorato come la disbiosi intestinale possa aggravare le conseguenze della lesione del midollo spinale, evidenziando l’importanza di mantenere un microbiota equilibrato per favorire il recupero. In particolare, la neuroinfiammazione post-trauma è un fattore critico che determina il recupero neurologico, e una modulazione mirata dell’infiammazione, evitando l’immunosoppressione, è essenziale.
Studi su modelli animali hanno dimostrato che il trapianto di microbiota fecale può correggere la disbiosi e promuovere la neuroprotezione, influenzando favorevolmente la risposta immunitaria. Il trapianto ha mostrato di poter ridurre i livelli di IL-17 e limitare la migrazione di cellule T dannose, oltre a modulare positivamente la popolazione di Treg nei linfonodi mesenterici, giocando un ruolo chiave nella soppressione dell’infiammazione.
Melanoma e immunoterapie
Quasi la metà dei pazienti con melanoma avanzato sviluppa resistenza ai trattamenti con anti-PD-1, una delle recenti immunoterapie introdotte in oncologia. Da qui l’urgenza di trovare nuove strategie terapeutiche. Sebbene l’associazione di anti-PD-1 con l’antigene CTLA-4 migliori la risposta, questa combinazione è spesso limitata da effetti collaterali significativi.
Una ricerca pubblicata su Nature Medicine ha valutato l’uso del trapianto di microbiota fecale per superare la resistenza ai trattamenti in pazienti con melanoma refrattario. Il microbiota intestinale, essendo un regolatore chiave delle risposte immunitarie, potrebbe infatti influenzare l’esito dei trattamenti con inibitori del checkpoint immunitario (ICI), con alcuni batteri specifici associati a migliori risposte terapeutiche.
Utilizzando il trapianto di microbiota da donatori selezionati, lo studio ha osservato una riduzione della resistenza all’anti-PD-1 nel 30% dei pazienti trattati, con cambiamenti significativi nella composizione del microbiota e un aumento dell’infiltrazione di cellule T CD8+ nei tessuti tumorali. Questi risultati suggeriscono che il trapianto potrebbe modulare l’ambiente tumorale e migliorare la risposta all’immunoterapia.
Il profilo di sicurezza dello studio ha rivelato che la procedura è generalmente ben tollerato, con la maggior parte degli effetti collaterali di grado lieve e nessun aumento degli eventi avversi legati all’immunoterapia. In sintesi, i risultati incoraggianti di questo studio aprono nuove vie per integrare il trapianto di microbiota come complemento all’immunoterapia nel melanoma, migliorando le possibilità di risposta nei pazienti refrattari e potenzialmente riducendo la resistenza al trattamento.
Patologie epatiche
Uno studio clinico guidato da Lanfeng Xue della Wakayama Medical University in Giappone, pubblicato su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, ha testato l’efficacia del trapianto di microbiota fecale in pazienti con patologie epatiche non alcoliche (NAFLD). I risultati suggeriscono che questa procedura potrebbe ridurre l’accumulo di grasso nel fegato e nel contempo migliorare la composizione del microbiota intestinale, con benefici particolarmente evidenti nei pazienti magri.
Per la NAFLD, una condizione che sta diventando sempre più diffusa, non esistono ancora trattamenti risolutivi. È quindi fondamentale individuare nuove terapie. Il microbiota intestinale, noto per il suo ruolo nello sviluppo di patologie epatiche, è stato al centro di questo studio, che ha coinvolto 75 pazienti suddivisi in gruppi per valutare l’effetto del trapianto fecale.
I risultati non hanno mostrato differenze significative nei livelli lipidici o nella funzione epatica tra i gruppi prima del trattamento, ma hanno evidenziato una diminuzione dell’accumulo di grasso nel fegato nel gruppo trattato con trapianto di microbiota. Inoltre, il trapianto ha portato a un miglioramento della diversità e abbondanza batterica, avvicinando la composizione del microbiota dei pazienti a quella di soggetti sani, con un incremento di ceppi benefici come Ruminococcaceae e Bifidobacteriaceae.
L’analisi ha anche rivelato differenze nella risposta al trapianto tra pazienti magri e obesi, con i primi che mostrano un maggior miglioramento sia nei parametri clinici che nella composizione del microbiota. Questo suggerisce che la procedura potrebbe offrire un approccio terapeutico personalizzato, con potenziali benefici particolarmente marcati per pazienti magri affetti da NAFLD.
Sindrome metabolica
Un team di ricerca guidato da Francis Chan della The Chinese University of Hong Kong ha esaminato l’effetto dei trapianti di microbiota fecale su persone con obesità e diabete di tipo 2, e ha pubblicato i risultati sulla rivista Gut. Lo studio si è concentrato su come il trapianto, soprattutto se combinato con cambiamenti nello stile di vita, possa influenzare la sindrome metabolica, una condizione spesso legata a squilibri nel microbiota intestinale e associata a obesità e diabete di tipo 2.
I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: uno ha ricevuto soltanto trapianto di microbiota, un altro il trapianto più modifiche dello stile di vita, e un terzo ha ricevuto trapianti placebo con interventi sullo stile di vita. I trapianti sono stati effettuati ogni quattro settimane per tre mesi, con l’obiettivo di esaminare la colonizzazione stabile dei microbi benefici e l’effetto degli stili di vita migliorati.
I risultati indicano che i trapianti ripetuti hanno favorito una maggiore colonizzazione di microbi benefici, indipendentemente dai cambiamenti nello stile di vita. In particolare, coloro che hanno ricevuto il trapianto di microbiota hanno mostrato un incremento di microbi quali Prevotella copri, Faecalibacterium prausnitzii e Collinsella tanakaei, noti per le loro proprietà benefiche. Inoltre, i partecipanti che hanno combinato il trapianto con modifiche dello stile di vita hanno mostrato un aumento della ricchezza batterica, oltre a benefici come riduzione dei livelli di colesterolo e miglioramento della salute epatica.
Questo studio pionieristico sottolinea il potenziale del trapianto di microbiota come trattamento per la sindrome metabolica, suggerendo che intervalli programmati di trapianto possano indurre una colonizzazione duratura del microbiota benefico e migliorare gli esiti clinici, soprattutto quando accompagnati da un miglioramento dello stile di vita.
Declino cognitivo
Uno studio coordinato da Alfonsina D’Amato dell’Università degli Studi di Milano, pubblicato su Microbiome, ha esplorato la possibilità di contrastare il declino cognitivo legato all’età attraverso una manipolazione mirata del microbiota intestinale. Utilizzando un modello animale, i ricercatori hanno indagato gli effetti di trapianti di microbiota da donatori anziani a riceventi giovani, dopo aver ridotto la loro flora batterica commensale tramite trattamento antibiotico, per valutare cambiamenti nel microbiota e le relative conseguenze cognitive e metaboliche.
Dopo il trapianto, è stato osservato un allineamento del profilo batterico dei riceventi con quello dei donatori anziani, con variazioni significative nella diversità batterica e l’espressione di specifici gruppi batterici. Dal punto di vista cognitivo e metabolico, i riceventi hanno mostrato una riduzione delle capacità di apprendimento e memoria, insieme a un’alterazione dell’espressione proteica nell’ippocampo, suggerendo un impatto negativo sulla funzionalità cognitiva.
Alcuni batteri come Faecalibaculum, Lachnospiraceae e Ruminococcaceae sono stati associati a proteine coinvolte nel metabolismo energetico mitocondriale e nel trasporto di neurotrasmettitori, suggerendo una connessione tra il microbiota intestinale e le funzioni cerebrali.
Nonostante non siano state riscontrate variazioni nei livelli di citochine, sono stati evidenziati cambiamenti nella fisiologia cerebrale, in particolare nelle proteine associate all’invecchiamento nelle cellule gliali dell’ippocampo. Tuttavia, la permeabilità intestinale non è sembrata essere influenzata.
Naturalmente sono necessari ulteriori studi sull’uomo per confermare questi risultati e per esplorare il potenziale terapeutico di interventi mirati sul microbiota.