Sono diversi gli esami che si possono fare durante la gravidanza per ottenere informazioni sulla salute dell’embrione e del feto. Le tecniche utilizzate possono essere invasive o non invasive.

Esame del cariotipo

È un esame invasivo, consiste nel visualizzare al microscopio i cromosomi del feto e serve alla diagnosi prenatale o post natale di alcune condizioni. Si esegue sulle cellule dei villi coriali, di origine placentare, o sulle cellule fetali presenti nel liquido amniotico. Questi due tipi di cellule vengono prelevati rispettivamente con la villocentesi e l’amniocentesi.

Permette di individuare due tipi di anomalie cromosomiche. Quelle numeriche, ossia la presenza di un numero diverso di cromosomi (in più o in meno) rispetto ai 46 caratteristici dell’essere umano. Per esempio la trisomia 21 (sindrome di Down), la trisomia 18 (sindrome di Edwards) o la trisomia 13 (sindrome di Patau).

Consente inoltre di individuare le anomalie strutturali, che riguardano la struttura del cromosoma: per esempio delezioni (perdita di un frammento di cromosoma), inversioni (distacco di un frammento di cromosoma, che si inserisce di nuovo nello stesso punto, ma ruotato di 180 gradi), traslocazioni (scambio di un frammento genetico tra due cromosomi).

Glicemia e curva glicemica

L’esame della glicemia e della curva glicemica in gravidanza sono test importanti per monitorare i livelli di zucchero nel sangue e identificare la possibile presenza di diabete gestazionale, una condizione caratterizzata da alti livelli di glucosio nel sangue che può comparire o essere diagnosticata per la prima volta durante la gravidanza. Ecco alcuni aspetti chiave riguardanti questi esami:

  1. Test della glicemia a digiuno: questo esame misura il livello di glucosio nel sangue dopo un periodo di digiuno, di solito di 8 ore. È un indicatore iniziale per valutare se i livelli di glucosio nel sangue sono entro i limiti normali.
  2. Curva glicemica o test di tolleranza al glucosio (OGTT): La curva glicemica è un test più specifico per il diabete gestazionale. Viene eseguito somministrando alla paziente una quantità standard di glucosio (solitamente 75 grammi) dopo un periodo di digiuno. Il livello di glucosio nel sangue viene poi misurato in più momenti successivi all’assunzione, tipicamente dopo 1 e 2 ore, per valutare come il corpo metabolizza lo zucchero.
  3. Tempistica degli esami: il test di tolleranza al glucosio viene solitamente effettuato tra la 24ª e la 28ª settimana di gravidanza, ma può essere consigliato prima se la donna presenta fattori di rischio per il diabete gestazionale, come obesità, storia familiare di diabete, precedente diabete gestazionale, o elevati livelli di glucosio a digiuno identificati in una fase precoce della gravidanza.
  4. Diabete gestazionale: il diabete gestazionale può aumentare il rischio di complicazioni sia per la madre che per il bambino, inclusi parto cesareo, ipertensione gestazionale, macrosomia fetale (un bambino più grande del normale) e problemi nel periodo post-partum. Una diagnosi tempestiva è fondamentale per gestire i livelli di glucosio attraverso la dieta, l’esercizio fisico e, se necessario, la terapia insulinica.
  5. Gestione e monitoraggio: in caso di diabete gestazionale, la gestione include un piano alimentare controllato, attività fisica regolare e monitoraggio frequente dei livelli di glucosio nel sangue. In alcuni casi, può essere necessario l’uso di insulina o di altri farmaci per mantenere i livelli di glucosio sotto controllo.
  6. Follow-up post-partum: dopo il parto, il diabete gestazionale si risolve generalmente, ma le donne che hanno avuto diabete gestazionale hanno un rischio maggiore di sviluppare diabete di tipo 2 in seguito nella vita. Viene quindi consigliato un follow-up con un test di tolleranza al glucosio a 6-12 settimane dopo il parto e controlli regolari successivi.

Ecografie

L’ecografia in gravidanza è una procedura diagnostica non invasiva che utilizza onde sonore ad alta frequenza per creare immagini del feto all’interno dell’utero. È uno strumento fondamentale nel monitoraggio e nella valutazione della salute e dello sviluppo del feto durante la gravidanza. Ecco alcuni aspetti chiave sull’ecografia in gravidanza:

  1. Finalità: L’ecografia viene utilizzata per diversi scopi, tra cui la conferma della gravidanza, la valutazione dell’età gestazionale e della data presunta del parto, il monitoraggio della crescita e dello sviluppo del feto, l’identificazione di gravidanze multiple, la verifica della posizione del feto e della placenta, e la rilevazione di potenziali anomalie o complicazioni.
  2. Tipi di ecografia: Esistono diversi tipi di ecografie utilizzate in gravidanza, tra cui:
    • Ecografia transvaginale: spesso utilizzata nelle prime fasi della gravidanza per ottenere immagini dettagliate, specialmente quando l’utero e il feto sono ancora molto piccoli.
    • Ecografia transaddominale: la più comune durante la maggior parte della gravidanza, eseguita spostando un trasduttore sulla pancia della madre.
    • Ecografia 3D: fornisce immagini tridimensionali del feto, utili per esaminare dettagliamente potenziali anomalie.
    • Ecografia 4D: simile alla 3D ma include il movimento, permettendo di vedere attività fetali come i movimenti e le espressioni facciali.
  3. Tempistica: Le ecografie possono essere eseguite in vari momenti della gravidanza, con scopi specifici in ciascun trimestre:
    • Primo trimestre: conferma della gravidanza, verifica della vitalità fetale, stima dell’età gestazionale.
    • Secondo trimestre: ecografia morfologica (solitamente tra la 18ª e la 22ª settimana) per valutare la crescita fetale, la struttura anatomica e l’identificazione del sesso, se desiderato.
    • Terzo trimestre: monitoraggio della crescita fetale, valutazione della placenta e del liquido amniotico, preparazione al parto.
  4. Sicurezza: L’ecografia è considerata una procedura sicura sia per la madre che per il feto. Non utilizza radiazioni ionizzanti, come i raggi X, ma onde sonore, che non sono state associate a rischi significativi quando utilizzate correttamente da professionisti sanitari qualificati.
  5. Preparazione: La preparazione per un’ecografia può variare a seconda del tipo di esame e del momento della gravidanza. Ad esempio, per alcune ecografie transaddominali, potrebbe essere richiesto di avere la vescica piena per ottenere immagini più chiare.
  6. Risultati: Le immagini ecografiche vengono valutate da un medico specializzato, come un radiologo o un ostetrico/ginecologo, che può fornire informazioni sulla salute e lo sviluppo del feto. I risultati possono aiutare a guidare le decisioni riguardanti la gestione della gravidanza e il parto.

NIPT

Il test NIPT (Non-Invasive Prenatal Testing), noto anche come screening prenatale non invasivo, è un esame del sangue materno che può rilevare il rischio di determinate anomalie cromosomiche nel feto in modo non invasivo. Ecco i principali scopi e caratteristiche del test NIPT:

  1. Rilevazione di anomalie cromosomiche: il test NIPT è principalmente utilizzato per valutare il rischio di anomalie cromosomiche nel feto, come la trisomia 21 (sindrome di Down), la trisomia 18 (sindrome di Edwards) e la trisomia 13 (sindrome di Patau). Può anche identificare anomalie in altri cromosomi e, in alcuni casi, determinare il sesso del feto.
  2. Come funziona: il test analizza il DNA fetale libero circolante (cffDNA) presente nel sangue della madre. Durante la gravidanza, piccole quantità di DNA del feto entrano nel flusso sanguigno materno. Il NIPT esamina specifici marcatori nel cffDNA per identificare possibili anomalie cromosomiche.
  3. Tempistica: il test NIPT può essere effettuato già dalla decima settimana di gravidanza, offrendo informazioni precoci sul rischio di anomalie cromosomiche.
  4. Non invasività: a differenza di test prenatali più invasivi come l’amniocentesi o la villocentesi, che comportano un rischio, seppur basso, di complicanze come il parto prematuro o il distacco della placenta, il NIPT è completamente sicuro per il feto perché richiede solo un campione di sangue dalla madre.

Villocentesi o amniocentesi

Le indicazioni del ministero della Salute prevedono che, se la futura mamma ha superato i 35 anni di età, può decidere di sottoporsi gratuitamente a villocentesi o amniocentesi. Dal punto di vista statistico, infatti, con il passare degli anni, il rischio che il feto sia affetto da patologie cromosomiche aumenta.

La villocentesi, o prelievo dei villi coriali, consiste nel prelevare frammenti di tessuto coriale, una componente della placenta, per via transaddominale, mediante l’inserzione di un ago attraverso l’addome della donna sotto diretto controllo ecografico. È possibile, ma meno diffuso, anche il prelievo per via transcervicale, cioè attraverso la cervice uterina. può essere effettuato a partire dalla decima settimana compiuta di gravidanza in poi. In genere, si esegue tra la 11ma e la 13ma settimana. Secondo alcune statistiche, il rischio di perdita fetale (aborto) dopo la procedura è pari all’1-2%.

L’amniocentesi si esegue prelevando una piccola quantità di liquido amniotico mediante una puntura trans addominale fatta sotto guida ecografica. L’aumento del rischio di aborto, stando ad alcune indagini, è pari a 0,5-1%. Si esegue tra la 15ma e la 17ma settimana di gestazione, ma esiste anche la possibilità di effettuare l’amniocentesi nel terzo trimestre di gravidanza (amniocentesi tardiva).