La vaginosi batterica è un’infezione urogenitale che colpisce il 29% delle donne almeno una volta nella vita, rendendola la più diffusa tra le infezioni di questo tipo (1). Per comprenderla meglio, esploriamo cosa sia e quali fattori ne influenzano l’insorgenza.

Vaginosi batterica, una disbiosi del microbiota vaginale 

La vaginosi batterica è un’infiammazione vaginale caratterizzata da irritazione, secrezioni anomale e un odore sgradevole, principalmente causata da Gardnerella vaginalis. 

Questo patogeno può essere presente anche in basse concentrazioni in un microbiota vaginale considerato “sano”. 

Altri batteri coinvolti, seppur in misura minore, includono Atopobium, Prevotella, Peptostreptococcus, Mobiluncus, Sneathia, Leptotrichia e Mycoplasma.

Piuttosto che chiamarla un’infezione, sarebbe più accurato definirla una “disbiosi”, cioè uno squilibrio nella composizione e/o nei rapporti di espressione batterica. 

In questo caso, l’equilibrio è compromesso dalla proliferazione eccessiva e incontrollata di G. vaginalis a scapito dei lattobacilli (1,2).

Scopri i biotici studiati sulla vaginosi batterica

Cos’è il microbiota vaginale?

Il microbiota vaginale è principalmente dominato da diverse specie di lattobacilli. Sulla base della loro abbondanza, possiamo identificare cinque diverse comunità microbiche chiamate “Community State Type” o CST, ognuna caratterizzata da:

  1. CST I: Lactobacillus crispatus
  2. CST II: Lactobacillus gasseri
  3. CST III: Lactobacillus iners (il più comune tra le donne)
  4. CST V: Lactobacillus jensenii
  5. CST IV: Bassa presenza di lattobacilli ma con un’elevata biodiversità dovuta alla presenza di un mix di batteri anaerobi come Prevotella, Dialister, Atopobium, Gardnerella, Megasphaera, Peptoniphilus, Sneathia, Eggerthella, Aerococcus, Streptococcus, Finegoldia e Mobiluncus

Conoscere a quale CST si appartiene e quindi il profilo del proprio microbiota è importante poiché influisce sul rischio di sviluppare la vaginosi o altre infezioni locali. 

La correlazione tra l’espressione di lattobacilli e l’incidenza dell’infezione è ben documentata (3).

CST e rischio vaginosi

Questo legame è dovuto principalmente all’effetto protettivo dei lattobacilli, che, grazie alla produzione di acido lattico, mantengono l’ambiente vaginale a un pH acido (circa 4), rendendolo sfavorevole all’invasione e alla proliferazione dei patogeni. 

Altri meccanismi difensivi includono la produzione di perossido di idrogeno (acqua ossigenata comune) e, per alcuni ceppi, di batteriocine con azione antimicrobica. I lattobacilli possono anche competere con i patogeni per i recettori e i nutrienti (3).

Le donne con microbiota CST I e pH=4 presentano il minor rischio di sviluppare la vaginosi e, in caso di infezione, di manifestare sintomi più lievi (diagnosi e gravità basate sul Nugent Score). L. crispatus sembra essere il lattobacillo più protettivo, seguito da L. gasseri, L. jensenii e L. iners.

Al contrario, le donne con microbiota CST IV e pH=5.3 hanno il maggior rischio di sviluppare la vaginosi. Questo cluster, oltre a una quasi totale assenza di lattobacilli, è caratterizzato da un’elevata instabilità dovuta all’assenza di una specie dominante, il che rende la proliferazione di un tipo di batterio, compresi i patogeni, molto più semplice (3).

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Fattori di rischio per la vaginosi batterica

L’etnia sembra svolgere un ruolo importante nella determinazione del CST. Tra le donne caucasiche, il 40% è parte del CST I e solo il 10% del CST IV; tra le donne asiatiche, il cluster più frequente è il CST III, con solo il 20% nel CST IV. Le donne di colore, al contrario, mostrano il CST IV come il più frequente, con circa il 40% (3).

Oltre all’appartenenza a un CST specifico, ci sono diversi fattori di rischio noti associati alla vaginosi batterica, tra cui l’uso frequente di lavande o irrigazioni vaginali, il fumo, l’avere più partner sessuali, il mancato utilizzo di preservativi e i rapporti sessuali con altre donne.

Tuttavia, le donne che utilizzano contraccettivi orali o altri metodi di controllo delle nascite hanno dimostrato di avere una minore incidenza di vaginosi, anche con un CST simile. Gli estrogeni assunti per via orale sembrano sostenere l’espressione dei lattobacilli.

Perché la vaginosi è pericolosa in gravidanza

In generale, tutte le infezioni dell’area genitale durante i nove mesi con il pancione possono rappresentare un problema per la gravidanza stessa. E le vaginosi batteriche non fanno eccezione. Se sono trascurate oppure gestite male, costituiscono un focolaio sfavorevole per l’ambiente uterino e il feto in via di sviluppo.

Perché la probabilità che l’infezione, dalla vagina si diffonda a livello dell’utero e della placenta è abbastanza elevata. E può comportare complicanze gravi sia per la donna sia per il feto.
La problematica principale è il parto pretermine, ossia prima della 37a settimana di gravidanza, con conseguente possibilità di perdere del bambino qualora l’espulsione avvenga molto in anticipo rispetto alla data prevista (prima della 32a settimana).

Va detto per altro che il rischio di parto pretermine risulta elevato anche in caso di infezione asintomatica. Da qui la necessità di non sottovalutare mai la comparsa di sintomi, per quanto lievi, che possano far sorgere il sospetto di una vaginosi batterica.

Altre possibili complicanze durante la gravidanza sono la rottura prematura delle membrane, l’aborto in fase avanzata di gravidanza e il basso peso alla nascita del bambino.

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Conseguenze della disbiosi

La disbiosi che caratterizza la vaginosi non è solo causata dalla proliferazione di Gardnerella vaginalis. La vagilisina, una citolisina prodotta da questo batterio, è in grado di infiammare e danneggiare la mucosa vaginale, essenziale per la crescita dei batteri anaerobi. 

Inoltre, G. vaginalis può aderire alla parete vaginale, creando un biofilm che promuove la proliferazione di altri batteri, peggiorando ulteriormente la disbiosi (1).

Le conseguenze della vaginosi batterica sono significative e includono un’alterazione dell’immunità innata (aumento di IL-1β e CD4+, riduzione dei neutrofili) e dei processi infiammatori. Inoltre, la vaginosi batterica aumenta la probabilità di parto pretermine durante la gravidanza e la suscettibilità a contrarre altre infezioni genitali, inclusi HIV e HPV, soprattutto in caso di recidive. Pertanto, la vaginosi batterica non è solo un problema locale, ma ha implicazioni più ampie (1,2).

Come si cura la vaginosi batterica

Le terapie comunemente utilizzate per la vaginosi batterica coinvolgono antibiotici, tra cui il metronidazolo per via orale, il gel al metronidazolo al 0,75% per via intravaginale, o la clindamicina in crema al 2% per via intravaginale. 

Alternativamente, si possono utilizzare il tinidazolo per via orale o per via orale in dosi più ridotte o la clindamicina per via orale o sotto forma di ovuli intravaginali.

Anche se queste terapie generalmente sono efficaci, le recidive entro 12 mesi sono abbastanza comuni. In caso di recidive, il trattamento di prima linea può essere ripetuto.

Tuttavia, se le recidive diventano frequenti, è possibile considerare un trattamento più aggressivo, ad esempio aumentando la dose di antibiotici, soprattutto se le recidive si verificano nello stesso mese.

Nelle situazioni più complesse, la terapia antibiotica potrebbe non essere sufficiente. Inoltre, oltre alle recidive, ci sono effetti collaterali locali e sistemici correlati all’uso prolungato degli antibiotici, come la resistenza e la disbiosi intestinale se gli antibiotici vengono assunti per via orale, tra gli altri (1).

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Probiotici per la vaginosi batterica

I probiotici, ovvero “microrganismi vivi che, somministrati in quantità adeguate, apportano benefici alla salute dell’ospite,” possono ricolonizzare l’ambiente vaginale con “batteri buoni” per potenziare l’effetto farmacologico. 

Tuttavia, non tutti i probiotici sono uguali, con caratteristiche e effetti specifici di ceppo e dose. Tra le formulazioni con evidenze di efficacia nella gestione della vaginosi batterica troviamo quelle che contengono lattobacilli probiotici, come Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus rhamnosus. E, in alcuni casi, i probiotici sono formulati in associazione con prebiotici o altre molecole.

Conclusioni

La vaginosi batterica è una comune infezione urogenitale con un alto tasso di recidive nonostante il trattamento antibiotico. La causa principale è uno squilibrio della comunità microbica locale (microbiota vaginale), in particolare a causa della proliferazione di G. vaginalis. 

In questo contesto, l’aggiunta di probiotici specifici si è dimostrata efficace nel ridurre le recidive, ripristinando un microbiota “sano”.

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