Hanno il nome molto simile e in qualche modo entrambi hanno a che fare con i batteri e con il microbiota. Ma antibiotici e probiotici non sono affatto la stessa cosa, anzi. Le differenze tra antibiotico e probiotico sono profonde. La principale riguarda lo scopo dell’assunzione, il perché si prendono.
Gli antibiotici sono farmaci che si assumono per eliminare, in maniera più o meno selettiva, i batteri patogeni. Per questo i medici dicono sempre di assumerli soltanto in caso di infezione batterica conclamata, e non di infezioni virali.
I probiotici invece promuovono la crescita e la proliferazione dei “batteri buoni” all’interno dell’intestino, allo scopo di ripristinare uno stato di eubiosi, ovvero di equilibrio fra i microrganismi che popolano la sua mucosa, al fine di garantire il buon funzionamento di tutto l’organismo.
Stando alla definizione della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), i probiotici sono «microorganismi vivi e vitali che si dimostrano in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di esercitare funzioni benefiche per l’organismo».
Per farlo devono presentare alcune caratteristiche fondamentali, come la capacità di attraversare indenni il tratto gastrointestinale resistendo al pH acido dello stomaco e ai sali biliari, per poi arrivare vivi e vitali nell’intestino e contrastare stati di disbiosi, ovvero di alterazione della corretta composizione della flora (o microbiota) intestinale.
Peraltro, una delle principali cause di disbiosi intestinale è proprio l’assunzione di antibiotici in quanto, oltre ai microrganismi patogeni causa di infezione, questi farmaci possono eliminare anche batteri “buoni”, necessari per mantenere lo stato di salute dell’intestino.
Come agiscono gli antibiotici
Gli antibiotici sono suddivisi in diverse classi basate sulla loro struttura chimica, con ciascuna classe che ha potenzialità diverse nel combattere specifici tipi di batteri.
Le principali classi di antibiotici includono:
- Aminoglicosidi: efficaci contro un’ampia varietà di infezioni batteriche.
- Carbapenemi: utilizzati per infezioni complesse o resistenti ad altri antibiotici.
- Cefalosporine: simili alle penicilline ma con un ampio spettro di azione.
- Fluorochinoloni: utili per trattare un’ampia gamma di infezioni, soprattutto respiratorie e urinarie.
- Glicopeptidi e lipoglicopeptidi: tra cui la vancomicina, usati contro batteri Gram-positivi.
- Macrolidi: come eritromicina e azitromicina, spesso usati per infezioni respiratorie.
- Monobattami: ad esempio l’aztreonam, efficace contro i batteri Gram-negativi.
- Ossazolidinoni: come linezolid e tedizolid, per infezioni da Gram-positivi resistenti.
- Penicilline: una delle classi più antiche e comunemente prescritte.
- Polipeptidici: antibiotici topici per infezioni cutanee.
- Rifamicine: utilizzati principalmente per trattare la tubercolosi e le infezioni di Mycobacterium.
- Sulfamidici: ampiamente usati per infezioni del tratto urinario.
- Streptogramine: come quinupristina e dalfopristina, usati in infezioni gravi.
- Tetracicline: indicati per acne e infezioni respiratorie.
I carbapenemi, le cefalosporine, i monobattami e le penicilline fanno parte della più grande famiglia degli antibiotici beta-lattamici, distinti dalla presenza dell’anello beta-lattamico nella loro struttura chimica.
Esistono poi altri antibiotici che non si inquadrano nelle classi menzionate, tra cui il cloramfenicolo, la clindamicina, la daptomicina, la fosfomicina, la lefamulina, il metronidazolo, la mupirocina, la nitrofurantoina e la tigeciclina, ciascuno con un proprio meccanismo di azione specifico e indicazioni cliniche.
A seconda della classe alla quale appartengono, gli antibiotici agiscono mediante un diverso meccanismo d’azione, come per esempio:
- la compromissione dell’integrità della parete o della membrana cellulare batterica, che porta alla morte del microrganismo (penicilline e cefalosporine);
- l’alterazione di attività cellulari indispensabili per la sopravvivenza del patogeno (chinoloni, rifampicina, tetracicline, ecc.).
Inoltre, gli antibiotici possono essere distinti anche in base alla loro capacità di provocare la morte dei batteri (antibiotici battericidi) o di bloccarne la replicazione (antibiotici batteriostatici), dando modo al sistema immunitario di combattere l’infezione.
Non interrompere la terapia se i sintomi scompaiono
Sto bene, posso smettere. Con gli antibiotici, come per gli altri farmaci prescritti con un certo dosaggio e per un periodo prestabilito, questa non è un’opzione da considerare.
Nonostante i sintomi spesso scompaiano prima di aver terminato il ciclo di terapia, qualche batterio responsabile dell’infezione potrebbe essere infatti ancora presente e moltiplicarsi nuovamente, causando una ricaduta o l’aggravamento della condizione di partenza. Inoltre, uno scorretto uso degli antibiotici può indurre il fenomeno dell’antibiotico-resistenza e, con esso, la necessità di un trattamento più aggressivo o di dover utilizzare un altro principio attivo.
Di contro, nemmeno l’aumento delle dosi o della durata della terapia deve essere deciso in autonomia per non aumentare il rischio dei classici effetti collaterali (diarrea, nausea, vomito, ecc.) e, ancora una volta, di sviluppare resistenza al farmaco. Importante quindi mettere sempre in pratica le indicazioni del medico, considerando anche che la durata e il numero di somministrazioni giornaliere di uno stesso antibiotico possono variare in base al tipo di infezione e alla sua gravità. Gli effetti collaterali più comuni, sebbene spesso non così gravi da dover sospendere la terapia, possono essere fronteggiati grazie all’uso di probiotici, i quali possono aiutare a mantenere l’equilibrio della flora intestinale e rendere la terapia più tollerabile.
Antibiotici inutili per l’influenza
Il target d’azione degli antibiotici sono i batteri: questi farmaci vengono infatti somministrati con lo scopo di bloccarne la replicazione (antibiotici batteriostatici), dando modo al sistema immunitario di combattere l’infezione, o provocarne la morte (battericidi).
Ecco perché gli antibiotici devono essere assunti, sotto controllo medico, solo in caso di infezioni batteriche (possibilmente accertate con esami specifici, come per esempio tamponi faringei o un’urinocoltura con antibiogramma nel caso, rispettivamente, del sospetto di una faringite batterica o di un’infezione delle vie urinarie) e non in occasione di sindromi influenzali che, in generale, sono veicolate da virus. Essendo diversi gli attori in gioco (batteri in un caso, virus nell’altro), gli antibiotici sono infatti del tutto inutili in caso di influenza, indipendentemente dai sintomi che provoca (intestinali o respiratori).
Anzi, il loro uso inappropriato causa un aumento del rischio di antibiotico-resistenza, ovvero lo sviluppo di batteri in grado di resistere agli antibiotici attualmente in uso. Ecco perché è fondamentale sia assumere gli antibiotici solo dietro prescrizione del medico, sia seguire attentamente tempi e dosaggi indicati.
Come agiscono i probiotici
I probiotici sono essenziali per mantenere l’equilibrio del microbiota intestinale, un beneficio riconosciuto dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) secondo il Regolamento (CE) 1924/2006.
Oltre a questo ruolo fondamentale, la ricerca ha dimostrato che specifici probiotici offrono una vasta gamma di vantaggi per la salute umana.
In gastroenterologia, i probiotici migliorano la composizione del microbiota intestinale, aumentando i microrganismi benefici con notevoli vantaggi per la salute:
- sintetizzano vitamine e minerali,
- abbassano il pH intestinale,
- rafforzano le barriere intestinali,
- competono per le risorse nutritive e producono sostanze antimicrobiche.
Inoltre, migliorano l’efficienza digestiva e l’assorbimento di nutrienti, regolano il metabolismo dei lipidi e riducono l’infiammazione intestinale.
Questi effetti non solo favoriscono la funzionalità gastrointestinale, ma potenziano anche le difese immunitarie e migliorano la motilità intestinale, contribuendo significativamente al benessere generale.
Inoltre alcuni specifici probiotici, usati per ripristinare la corretta composizione del microbiota intestinale, possono contrastare la proliferazione di batteri pericolosi, perché si sono dimostrati in grado di:
- produrre sostanze che ne impediscono la moltiplicazione;
- togliere spazio vitale per la loro crescita;
- entrare in competizione per le fonti di nutrimento.
Differenza tra yogurt e probiotici
Uno degli effetti collaterali delle terapie antibiotiche è la disbiosi, ovvero l’alterazione della composizione della flora (o microbiota) intestinale. Per ripristinare il giusto equilibrio ed evitare effetti collaterali associati all’assunzione di antibiotici, come la diarrea, non è sufficiente, come alcuni pensano, mangiare yogurt. Questo alimento non è infatti di per sé un probiotico, ma il prodotto della fermentazione del latte da parte di Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus termophilus, entrambi ceppi batterici incapaci di arrivare vivi e vitali all’intestino, una delle caratteristiche essenziali perché un probiotico venga definito tale.
Data la crescente attenzione della comunità scientifica al benessere intestinale, è ormai abbastanza comune l’arricchimento o l’aggiunta ai classici yogurt di ulteriori ceppi batterici con caratteristiche probiotiche. È frequente infatti la presenza negli yogurt di determinate quantità di Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus casei, Lactobacillus lactis e Bifidobacterium bifidum, più resistenti di L. bulgaricus e S. termophilus e in grado di favorire l’integrità dell’epitelio intestinale bloccando l’ingresso di microrganismi patogeni, uno dei benefici che deriva dall’assunzione quotidiana di questa tipologia di “yogurt probiotici”.
Molte sono però le differenze tra un prodotto e l’altro e non sempre le etichette riportano le esatte caratteristiche: è difficile per esempio trovare informazioni riguardo il numero di cellule vitali garantite fino alla consumazione del prodotto, o la dose di yogurt richiesta per il beneficio indicato. Queste caratteristiche sono invece garantite nei probiotici “veri e propri”, che possono essere formulati in capsule, compresse, flaconcini e bustine. Per essere chiamati tali, i probiotici devono infatti resistere all’ambiente acido dello stomaco e arrivare, in quantità adeguate, vivi e vitali nell’intestino. Tra i probiotici in commercio, la maggior parte contiene batteri (come per esempio Bifidobacterium, Lactobacillus, Bacillus), ma anche lieviti (ad esempio Saccharomyces boulardii e Saccharomyces cerevisiae). È fondamentale conoscere la differenza, quindi, tra yogurt e probiotici, per lasciar da parte queste false credenze.
Probiotici e antibiotici: perché assumerli assieme
Dal momento che entrambi agiscono sul microbiota intestinale, ma con funzioni opposte, l’assunzione combinata di antibiotico e probiotico è fortemente consigliata soprattutto per ridurre o prevenire gli effetti collaterali associati alla terapia antibiotica.
Modulando in positivo il microbiota intestinale, i probiotici sono in grado di prevenire la diarrea associata alla somministrazione di antibiotici. È stato infatti dimostrato che il ripristino di una condizione di eubiosi rappresenta uno dei meccanismi più importanti attraverso i quali agiscono i probiotici, motivo per cui questi batteri “buoni” possono aiutare in caso di terapia antibiotica, nota per indebolire la normale flora intestinale.
Nel caso in cui gli antibiotici siano somministrati a bambini piccoli, l’associazione con i probiotici sembrerebbe inoltre diminuire il rischio di disturbi nel medio-lungo termine correlati ad alterazioni batteriche quali allergie, asma, infezioni gastrointestinali. In ogni caso, è sempre utile un confronto con il pediatra in modo da impostare al meglio la terapia.
L’assunzione in caso di terapia antibiotica è però soltanto una delle circostanze in cui può essere utile la somministrazione di probiotici, che possono essere utilizzati anche in altre situazioni in cui sia necessario ristabilire l’equilibrio della flora, come per esempio in caso di costipazione, diarrea causata da patogeni quali Clostridium difficile o Escherichia coli, patologie infiammatorie intestinali, ecc.
Anche in questi casi, ristabilire la flora può aiutare a recuperare la normale funzionalità gastroenterica.