Probabilmente tutti hanno sperimentato nella vita almeno un episodio di stipsi. Si tratta, infatti, di un disturbo gastrointestinale che interessa in media il 15-20% della popolazione generale: può riguardare qualsiasi fascia d’età, dai bambini, anche neonati, agli adulti, anche se tende a farsi più frequente soprattutto dopo i 65-70 anni, e nel sesso femminile.
Può essere un problema occasionale, ma può anche diventare una condizione cronica, in grado di influenzare negativamente la qualità della vita.
Definizione e sintomi
Le abitudini intestinali variano molto da persona a persona: c’è chi evacua più volte al giorno e chi lo fa in media poche volte a settimana. Quando, allora, si parla di stipsi? Di norma quando il numero di evacuazioni è inferiore alle tre settimanali, ma tale parametro non è più da tempo l’unico preso in considerazione, poiché si tiene conto anche di eventuali altri disturbi intestinali associati.
In particolare, si può parlare di stitichezza in presenza di due o più dei seguenti sintomi:
- meno di tre evacuazioni a settimana
- senso di blocco o ostruzione anorettale
- necessità di compiere uno sforzo eccessivo per evacuare
- sensazione di evacuazione incompleta
- evacuazione dolorosa
- feci grumose o dure
- necessità di manovre manuali per aiutarsi a defecare.
In genere si parla di stipsi cronica se tali disturbi sono presenti per almeno tre mesi.
La presenza, in aggiunta, di sintomi come dolore e crampi addominali ricorrenti associati alla defecazione, distensione addominale, meteorismo e flatulenza, nausea potrebbe indirizzare il medico verso la diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile con stitichezza (o con sintomatologia mista se alla stipsi si alternano episodi di diarrea).
Meglio infine consultare il medico quanto prima, per gli approfondimenti diagnostici del caso, se alla costipazione si associa uno o più dei seguenti sintomi:
- vomito
- febbre
- sangue nelle feci
- sanguinamento rettale
- dolore addominale costante
- incapacità di emettere gas
- perdita di peso inspiegabile.
Le principali cause della stitichezza
Spesso la stipsi è di tipo primario, detta anche idiopatica o funzionale: sostanzialmente c’è un rallentato transito delle feci nel colon e una conseguente difficile espulsione, senza che ciò sia riconducibile ad altre cause. In questi casi entra spesso in gioco lo stile di vita; in particolare, tra i fattori che possono contribuire alla comparsa della stipsi rientrano:
- una dieta scorretta, con scarso apporto di alimenti ricchi di fibra (frutta, verdura, cereali), eccesso di caffè e alcolici e insufficiente idratazione, che contribuisce a rendere le feci dure e asciutte
- una vita sedentaria con scarsa attività fisica e/o prolungati periodi trascorsi seduti o sdraiati
- la tendenza a ignorare lo stimolo ad andare in bagno
- ritmi di vita stressanti e tensione nervosa.
In altri casi la stitichezza può essere secondaria a cause organiche o farmacologiche. Possono, per esempio, sussistere condizioni meccaniche che ostacolano, fino a bloccare, il transito delle feci nel colon e/o la loro fuoriuscita, come la presenza di restringimenti e occlusioni intestinali.
Altre condizioni che possono determinare stitichezza comprendono:
– problemi neurologici a carico dei nervi che regolano la contrazione dei muscoli di colon e retto (conseguenti, a loro volta, a condizioni come neuropatie, sclerosi multipla, ictus, lesioni del midollo spinale, Parkinson)
– malattie e condizioni che alterano l’equilibrio ormonale (come ipotiroidismo, diabete, gravidanza)
– assunzione di alcuni farmaci (come alcuni antidepressivi, antidolorifici oppioidi e farmaci per abbassare la pressione sanguigna).
Le possibili complicanze
Soffrire a lungo di stipsi può determinare la comparsa di alcune complicazioni da sottoporre quanto prima all’attenzione del proprio medico, tra cui:
- emorroidi, in quanto lo sforzo eccessivo legato all’evacuazione può determinare il rigonfiamento delle vene presenti nell’ultima parte dell’intestino
- ragadi anali, ovvero piccole lacerazioni o fissurazioni della mucosa che riveste l’ano, dovute in genere all’espulsione di feci dure e voluminose
- prolasso rettale, ovvero lo “scivolamento” di una piccola parte del retto fuori dall’ano, causato in da ripetuti ed eccessivi sforzi messi in atto per defecare
- formazione di un fecaloma, cioè di una massa fecale dura e secca che può ostruire gli ultimi tratti dell’intestino
- incontinenza fecale, cioè perdita involontaria delle feci.
Come si fa la diagnosi
Il primo passo per porre la diagnosi di stitichezza è la visita medica: il medico svolge un’accurata anamnesi, cioè raccoglie una serie di informazioni sui sintomi (quali sono, quando sono comparsi, come si manifestano ecc.), sulla storia clinica del paziente, compreso l’uso di farmaci che potrebbero essere all’origine del problema, sulle abitudini alimentari e sullo stile di vita. Segue, se necessario, un esame obiettivo, che comprende la valutazione del perineo (l’insieme dei tessuti molli che chiudono la parte inferiore del bacino, tra ano e genitali) e l’esplorazione digitale del retto, con lo scopo di verificare la presenza di prolassi, emorroidi, ragadi o masse anorettali e valutare il tono degli sfinteri anali.
Per meglio definire la diagnosi e/o escludere eventuali cause organiche sottostanti, il medico può richiedere in alcuni casi ulteriori indagini, a cominciare dagli esami del sangue e delle feci, con ricerca di sangue occulto nelle stesse.
Una radiografia addominale, una sigmoidoscopia (esame endoscopico del retto e del colon inferiore) e/o una colonscopia possono inoltre essere richieste per valutare, in caso in particolare di comparsa di stipsi acuta, l’eventuale presenza di ostacoli meccanici al transito delle feci, come ostruzioni intestinali o forme tumorali. Durante le endoscopie possono essere anche prelevati campioni di tessuti (biopsie) da sottoporre ad analisi.
In presenza di una stipsi cronica, una volta escluse eventuali ostruzioni, lo specialista gastroenterologo può richiedere ulteriori accertamenti mirati alla valutazione della funzionalità intestinale, come:
- studio del transito intestinale, per valutare come il cibo si muove lungo il colon e se subisce eventuali rallentamenti; l’esame prevede l’ingestione di specifiche capsule radiopache (quindi visibili ai raggi X) e l’esecuzione di radiografie dell’addome nei giorni successivi (secondo tempistiche ben precise)
- manometria anorettale, per valutare la funzionalità muscolare dello sfintere anale; il test prevede l’inserimento di una sonda, con un palloncino all’estremità, attraverso l’ano, fino al retto. Il palloncino viene gonfiato e quindi si procede all’estrazione dello stesso
- test di espulsione del palloncino, per valutare la velocità muscolare degli sfinteri anali: l’esame misura il tempo necessario per espellere un palloncino riempito con diversi volumi di acqua e posizionato nel retto
- defecografia, ovvero una radiografia del retto eseguita durante la defecazione (si è chiamati a espellere una pasta morbida a base di bario, visibile ai raggi X, precedentemente inserita a livello rettale). L’esame può consentire di individuare eventuali disfunzioni del perineo o la presenza di un prolasso o di un rettocele.
Alimenti anti stipsi
- Cereali integrali. Pasta e pane integrali sono ottimi per chi soffre di stipsi: contengono molte fibre, che facilitano il transito intestinale e rendono più morbide le feci. Di fibre sono ricchi anche i legumi e i vegetali quali carciofi, frutti di bosco. La quantità ideale è 30 grammi di fibra al giorno.
- Prugne secche. Secondo gli esperti sono sufficienti 50 grammi al giorno. Essendo disidratate contengono parecchia fibra. Sono ancora più “potenti” se si frullano e alla purea ottenuta si aggiungono due cucchiai di semi di lino.
- Yogurt. Contengono probiotici, batteri in grado di riequilibrare la flora batterica intestinale regolarizzando l’evacuazione. I più utili in caso di stipsi sono i lattobacilli e i bifido-batteri. Sono sufficienti uno o due vasetti al giorno.
- Kiwi. È un vero e proprio lassativo naturale, soprattutto se ben maturo. L’ideale sarebbe mangiarne almeno tre al giorno per una settimana, meglio alla sera.
- Acqua. La fibra, da sola, non serve a un granché se non si beve quantomeno un litro e mezzo di liquidi al giorno. È il miscuglio acqua e fibre infatti che rende morbide le feci, e quindi più facilmente evacuabili.
Il trattamento della stipsi
La cura della stitichezza dipende dalla causa e anche dall’entità dei sintomi. In caso di stipsi funzionale in genere il trattamento comincia dalla modifica delle abitudini alimentari e dello stile di vita.
In particolare, viene consigliato un aumento graduale del consumo giornaliero di fibre sia solubili, che aumentano il volume delle feci, sia insolubili, che accelerano il transito intestinale, inserendo nella dieta quotidiana più porzioni di frutta fresca e verdura (ricche anche di vitamine e minerali), e cereali integrali.
In genere viene consigliato un quantitativo di fibra giornaliero di circa 15-30 grammi: meglio affidarsi al medico per l’individuazione del quantitativo più adatto al proprio caso e per un’introduzione graduale delle stesse, per evitare la formazione di gas e conseguente gonfiore intestinale che possono risultare fastidiosi per alcuni soggetti.
Ė importante anche una corretta idratazione (vengono generalmente consigliati 2 litri d’acqua al giorno) che oltre a mantenere morbide le feci, permette alle fibre di svolgere la loro azione lassativa.
Può essere consigliata, a volte, anche l’assunzione di probiotici, microrganismi che, giungendo vivi e vitali nell’intestino, contribuiscono a equilibrare la flora intestinale e possono, così, influenzare la motilità intestinale.
Per quanto riguarda lo stile di vita, viene inoltre generalmente consigliato di:
- svolgere una regolare e quotidiana attività fisica, per contribuire ad aumentare anche l’attività muscolare intestinale
- non ignorare i naturali stimoli provenienti dall’intestino, cercando quindi di non ritardare l’evacuazione, ma anzi provando a creare una routine (per esempio andando in bagno tutti i giorni dopo colazione) e prendendosi il proprio tempo alla toilette, senza distrazioni né fretta; a questo scopo può essere utile anche provare a facilitare l’evacuazione posizionando i piedi su uno sgabello in modo da avere le ginocchia sopra la linea dei fianchi.
Se tali strategie non sortiscono l’effetto desiderato, il medico può consigliare in alcuni casi l’assunzione di farmaci lassativi, di cui esistono diverse tipologie, tra cui:
- lassativi formanti massa, che comprendono integratori di fibre (a base per esempio di crusca, psyllium ecc.) che agiscono aumentando il volume e la morbidezza delle feci, stimolando la crescita della flora batterica e promuovendo la peristalsi intestinale
- lassativi osmotici, che agiscono richiamando acqua nell’intestino e aumentando il contenuto liquido delle feci. Rientrano in questa categoria il lattulosio, il polietilenglicole, l’idrossido di magnesio
- lassativi stimolanti, che inducono la peristalsi stimolando direttamente le terminazioni nervose intestinali e inibendo il riassorbimento dell’acqua nel colon. Tra i più noti ricordiamo il bisacodile e la senna
- lassativi emollienti fecali (come la paraffina liquida e il docusato di sodio), che favoriscono l’emulsione delle feci con acqua e lipidi, ammorbidendole e agevolandone così il transito intestinale.
Per la scelta del lassativo più adatto al proprio caso è sempre consigliabile affidarsi al medico, che terrà conto anche dei possibili effetti collaterali: per esempio i formanti massa sono utili in caso di feci dure, ma poiché possono determinare meteorismo, sono meno indicati in chi ha problemi di gonfiore associato. Il medico, inoltre, può stabilire il dosaggio più adatto ed eventuali combinazioni per aumentare l’efficacia, scongiurando un uso scorretto o un abuso di lassativi, che può risultare controproducente.
Ricordiamo, infine, che se la stipsi cronica riconosce cause specifiche, il trattamento potrà essere mirato a risolvere le stesse, ove possibile: nel caso, per esempio, di un rettocele potrebbe essere valutato anche il ricorso alla chirurgia, mentre per la stitichezza conseguente a terapia farmacologica il medico potrà valutare la fattibilità o meno di una modifica della stessa.