Diventare vecchi è la cosa più naturale di questo mondo. Ogni organismo vivente, animale, pianta o batterio che sia, con il passare del tempo va incontro a un progressivo invecchiamento, fino alla morte.
Per ora la scienza non è riuscita, e forse non riuscirà mai, a bloccare questo fenomeno. Fermare il tempo è quasi un’utopia. La medicina ha fatto passi da gigante nell’ultimo secolo, ma è riuscita soltanto a prolungare la vecchiaia.
Viviamo più a lungo e in condizioni di salute migliori perché riusciamo a tenere sotto controllo le malattie tipiche della senilità. E perché, quantomeno nei Paesi occidentali, abbiamo migliorato parecchio le condizioni igieniche e ambientali in cui viviamo. Ma non siamo riusciti a evitare la vecchiaia, con il carico di problemi che comporta.
Perché invecchiamo
A partire dai trent’anni, secondo gli esperti, il nostro organismo va incontro a una progressiva riduzione di tutte le sue funzioni. Tutti gli organi e gli apparati del corpo diminuiscono la loro capacità di adattarsi all’ambiente e alle condizioni esterne che via via possono presentarsi.
Un esempio su tutti è la minore resistenza degli anziani alle ondate di calore estive, che ogni anno mietono vittime soprattutto tra chi è meno giovane.
Sul perché ciò accade, per anni, la comunità scientifica si è divisa e ha prodotto numerose ipotesi. Però sappiamo con certezza che il processo di invecchiamento è legato alla stratificazione progressiva di danni a livello cellulare provocati dall’accumulo, dentro le stesse cellule, di sostanze “inquinanti”.
Dall’esterno ingeriamo, soprattutto con l’alimentazione, sostanze che non vengono subito utilizzate dall’organismo. Le mettiamo da parte per i tempi duri. D’altra parte è innegabile che l’uomo è il frutto di migliaia di anni di evoluzione. E che fino a non tantissimi decenni fa il problema della sopravvivenza era essenzialmente legato ai periodo di carestia.
Siamo una macchina selezionata per accumulare sostanze utili nei periodi di “vacche grasse”, in modo da sopravvivere anche nei momenti di crisi.
Se però non c’è carestia, le cellule conservano queste molecole al loro interno per troppo tempo. E con gli anni si deteriorano, dando vita a sostanze dannose per le stesse cellule. Da qui, il progressivo accumularsi di cellule danneggiate e la conseguente perdita delle funzioni a cui erano preposte.
Una materia da Nobel
Nel 2009 il Premio Nobel per la Medicina, è stato assegnato agli studi sull’invecchiamento. Elizabeth Blackburn della University of California, Carol Greider della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora e Jack Szostak della Harvard Medical School di Boston hanno ritirato l’ambito riconoscimento per aver scoperto, durante la loro attività di ricerca, i telomeri, ovvero le sequenze di Dna che proteggono le estremità dei cromosomi, e l’enzima che le preserva dalla progressiva demolizione, la telomerasi.
In particolare gli scienziati hanno individuato una specifica sequenza di Dna espressa nei telomeri in grado di preservare le cellule dall`invecchiamento. Tale enzima rappresenta la difesa più importante contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase di divisione delle cellule, e costituiscono perciò la protezione principale contro l`invecchiamento cellulare e lo sviluppo dei tumori.
Il futuro si decide a tavola: la dieta della prevenzione
Mangiare poco (e bene) per invecchiare meno. Si può sintetizzare così il messaggio che i geriatri, quasi all’unanimità, inviano in un’ottica di prevenzione.
La restrizione calorica sembra essere il modo più efficace per rallentare i processi di invecchiamento e, di conseguenza, prevenire l’insorgenza delle classiche patologie correlate all’età, vale a dire infarto, ictus, tumori, disturbi metabolici e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
Meno cibo introduciamo nell’organismo, meno sostanze tossiche si accumulano nelle cellule. Il rischio di danni cellulari, in questo modo, si riduce parecchio. Perché tutto ciò che ingeriamo viene usato in un arco di tempo più ristretto e si favorisce il ricambio, all’interno dei tessuti, delle sostanze di deposito.
Diversi studi condotti in laboratorio su modelli animali hanno dimostrato che se riduciamo l’apporto calorico, le cavie vivono più a lungo e hanno un’incidenza inferiore di patologie correlate all’età.
Sembra infatti che proprio mentre proviamo il senso di fame, quel vuoto allo stomaco che arriva quando per esempio si salta un pasto, le cellule utilizzano le sostanze accumulate. Le demoliscono e le liberano nell’organismo. E al pasto dopo, quelle in più, andranno a riempire i “magazzini” lasciati vuoti.
Ma la quantità non è tutto. Conta anche la qualità: diversi studi hanno dimostrato che per restare giovani, o quantomeno per ridurre il pericolo di malattie nella terza età, è fondamentale mettere in tavola ogni giorno frutta fresca e verdure.
Ricche di principi antiossidanti come vitamine e sali minerali, danno una mano a rallentare i processi ossidativi, anch’essi responsabili dell’invecchiamento cellulare.
E poi bisogna andarci piano con la carne, che contiene parecchi grassi saturi, dando la preferenza ai pesci, soprattutto quelli che vivono in acque fredde, perché ricchissimi di acidi grassi polinsaturi.
In poche parole, la dieta giusta per garantirsi una vecchiaia sana e duratura è quella mediterranea.
Attività fisica antinvecchiamento
Per arrivare sani alla soglia della terza età, la seconda regola da seguire è semplice quanto quella sull’alimentazione: mettere al bando la pigrizia. Svolgere un’attività fisica regolare, secondo gli esperti, aiuta a restare giovani anzitutto perché, in questo modo, si consumano le calorie assunte in eccesso. E poi, mettere in moto la massa muscolare significa “costringerla” a favorire il ricambio delle cellule.
Ogni volta che esercitiamo un muscolo, infatti, si producono al suo interno lievi microtraumi, impercettibili, che, per essere “aggiustati” richiedono la fornitura di nuovo materiale. Per operare queste riparazioni, l’organismo non fa altro che utilizzare le sostanze accumulate come fonte di riserva nelle cellule. Ecco perché l’attività fisica, favorisce il ricambio cellulare
Fare sport inoltre consente di arrivare alla vecchiaia in condizioni di salute migliori. Diversi studi hanno dimostrato che l’esercizio fisico praticato regolarmente per tutto l’arco della vita permette un ottimale mantenimento dell’apparato muscolo scheletrico e abbassa il rischio di andare incontro a patologie come l’osteoporosi e le malattia cardiovascolari.
Alcuni studi hanno addirittura calcolato che, ancora a 80 anni, l’attività fisica faccia guadagnare 1-2 anni di vita. Una ragione in più per appendere le pantofole al chiodo e spegnere la televisione.
Uno studio della Saarland University di Homburg, in Germania, ha peraltro dimostrato che lo sport intenso previene l’accorciamento dei telomeri, sequenze di Dna che proteggono le estremità dei cromosomi. Di solito, infatti, con l’età queste sequenze genetiche si riducono progressivamente causando, a un certo punto, la morte della cellula.
Gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista Circulation, hanno misurato l’estensione dei telomeri nei campioni di sangue prelevati a un gruppo di sportivi professionisti, confrontandoli con quelli di persone della stessa età, non fumatori e in buona salute. È emerso che in chi pratica sport in modo costante la telomerasi, l’enzima naturalmente deputato a frenare l’accorciamento dei telomeri, è più attivo.
Longevità cerebrale
In un suo celebre autoritratto, il pittore spagnolo Francisco Goya dipinge se stesso come un vecchio, stanco e malato, che per camminare ha bisogno addirittura di due bastoni, su cui ha scritto, in alto: “Imparo ancora”. È questo, in fondo, il segreto della longevità cerebrale. Continuare a imparare, ad avere gli occhi di un bambino, a leggere, a tenere la mente in esercizio. Sono ormai parecchi gli studi che hanno valutato l’efficacia del cosiddetto brain training, l’allenamento del cervello, sulla prevenzione delle malattie neurologiche tipiche della vecchiaia, come Alzheimer e le demenze senili in genere.
Se è vero che le funzioni cerebrali, con il passare degli anni, possono andare incontro a qualche defaillance, è altrettanto vero anche che se si mantiene allenato si può ridurre di parecchio il rischio che capitino.
Come? Gli esperti non hanno ancora definito con assoluta certezza il metodo migliore. Di sicuro è stato dimostrato che una vita sociale attiva, fatta di relazioni amicale e affettive, il gioco, le letture e tutto ciò che impegna il cervello sono elementi fondamentali per rallentare il declino.
È stato inoltre dimostrato che meno calorie si assumono, meglio è per la memoria.
Stando a uno studio condotto in Germania e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science (Pnas), riducendo di un terzo l’introito calorico migliorano le prestazioni mnemoniche negli anziani.
I meccanismi sono ancora da chiarire, ma le ipotesi sono diverse: c’è chi pensa che i benefici siano legati a una ridotta produzione di radicali liberi, vere e proprie “mine vaganti” per i neuroni, e chi invece chiama in causa una riduzione dei processi infiammatori che potrebbero essere alla base del decadimento neuronale.
In ogni caso, a maggior ragione nella terza età, una controllata complessiva alla quantità di calorie che si assumono ogni giorno è sempre salutare.
Esami e controlli
Invecchiare bene significa anche tenere sotto controllo l’eventuale insorgenza di malattie. Perché nella stragrande maggioranza dei casi, venire a conoscenza di una patologia il prima possibile può fare la differenza in termini di efficacia delle cure.
Ecco perché da diversi anni si parla di screening, una batteria di esami e controlli da eseguire per monitorare i parametri più utili. Non esiste una regola valida per tutti: a seconda dell’età, dello stato di salute generale dell’organismo, della presenza di alcune patologie nella storia familiare, il proprio medico di famiglia può consigliare determinati esami.
Possiamo quindi fare soltanto una panoramica generale. Anzitutto è consigliabile controllare periodicamente la pressione arteriosa e, su consiglio del medico di famiglia, eseguire esami del sangue regolari.
Tra gli altri esami importanti che potrebbe consigliarvi c’è l’elettrocardiogramma, soprattutto in presenza di tachicardie o affaticamento. Altri accertamenti utili sono l’esame del fondo oculare, per scoprire danni vascolari, la valutazione della funzione tiroidea, la ricerca di sangue occulto nelle feci e la valutazione della vitamina B12, fondamentale per la salute del sistema nervoso.
Per le donne, il ministero della Salute suggerisce, a partire dai 50 anni, una mammografia ogni due anni per prevenire l’insorgenza del tumore del seno, e il pap test per le eventuali anomalie del collo dell’utero.
Un altro esame prezioso, da effettuare una tantum sempre su consiglio del medico, dopo la menopausa, è la MOC, detto anche mineralometria ossea computerizzata, che misura la densità ossea e serve per individuare l’osteoporosi.
Per l’uomo invece è fondamentale tenere sotto controllo la prostata: per farlo si può eseguire il test del Psa, che preferibilmente va eseguito soltanto in presenza di sintomi (frequente bisogno di urinare, senso di insufficiente svuotamento della vescica ecc).
Microbiota e invecchiamento
Negli ultimi anni, grazie a numerosi ricercatori, sta emergendo che il segreto per invecchiare in salute potrebbe nascondersi proprio nell’intestino. Un gruppo di scienziati dell’Università di Bologna, guidato da Silvia Turroni, ha pubblicato di recente uno studio che a tutti gli effetti sembra un viaggio affascinante all’interno del nostro microbiota intestinale, quel complesso ecosistema di microorganismi che abita nel nostro intestino. E che potrebbe giocare un ruolo cruciale nel mantenere la nostra salute man mano che invecchiamo.
Fin dalla nascita, il microbiota intestinale cresce e si evolve con noi, stabilizzandosi intorno ai 3-4 anni. Non esiste un unico “profilo di invecchiamento” per tutti, perché ognuno di noi è unico, influenzato da fattori come lo stile di vita e la fisiologia personale.
Nonostante questa variabilità, gli scienziati hanno notato alcuni tratti comuni negli “ambienti intestinali adulti”, come una particolare composizione di microrganismi che lavorano alacremente per produrre sostanze vitali per il nostro organismo.
Ma attenzione, non è tutto oro ciò che luccica: alcuni ospiti indesiderati, i patogeni, possono disturbare questo delicato equilibrio, portando a infiammazioni e malattie. Gli studi indicano che la longevità di persone che superano i 100 anni potrebbe essere legata a certi tipi benefici di batteri, come i Bifidobacterium. Al contrario, una dieta povera e l’esposizione a sostanze nocive potrebbero compromettere questo prezioso ecosistema intestinale.
Dalle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, fino a disturbi cardiaci e gastrointestinali, il microbiota sembra mettere lo zampino in molte patologie e condizioni. Persino i farmaci che assumiamo possono interagire con questi microscopici inquilini, a volte con effetti sorprendenti.
La ricerca è solo all’inizio, ma i risultati sono promettenti: dal trapianto di microbiota ai prebiotici naturali come flavonoidi e polifenoli, fino a specifici probiotici studiati proprio in funzione healthy ageing, sembra che possiamo effettivamente influenzare il nostro microbiota per combattere alcune malattie e promuovere un invecchiamento sano.
Quindi, mentre continuiamo a scoprire i misteri del microbiota intestinale, una cosa è chiara: prendersi cura del proprio intestino potrebbe essere la chiave per vivere una vita lunga e prosperosa.