La rapida evoluzione delle conoscenze sul microbiota vaginale, grazie agli studi di genomica e metabolomica, sta rivoluzionando la prevenzione, la diagnosi e gli approcci terapeutici in ginecologia, portando a un vero e proprio cambio di paradigma. Per sfruttare al meglio le nuove opportunità di gestione dei disturbi genitourinari della donna, è necessario che gli specialisti approfondiscano termini e concetti di recente introduzione, come eubiosi, disbiosi, ceppo-specificità ecc., finora poco o per nulla trattati nei corsi universitari. Uno degli aspetti più innovativi in questo ambito è il cosiddetto “asse intestino-apparato urogenitale”, ossia l’esistenza di un’interazione metabolico-funzionale tra microbiota intestinale e microbiota urogenitale, che apre alla possibilità di intervenire su problematiche di natura uro-ginecologica attraverso la modulazione del microbiota intestinale, grazie a opportune modificazioni della dieta, ma anche con specifici ceppi di microrganismi probiotici somministrati per via orale.

Microbiota vaginale: che cos’è e a cosa serve

«Il microbiota vaginale come lo conosciamo oggi», sottolinea in un’intervista su Microbioma.it Rossella Nappi, professore associato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Pavia – Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, «è molto diverso da quello che si studiava nei corsi di Medicina negli anni ‘80-‘90, quando ci si limitava a considerare le comunità dei lattobacilli come le aveva descritte Albert Sigmund Döderlein, direttore della clinica Ostetrico-ginecologica di Monaco, alla fine dell’Ottocento. Grazie all’introduzione delle tecniche di analisi genetico-molecolare, negli ultimi vent’anni, si è iniziato a comprendere che cos’è realmente il microbiota vaginale, riconoscendo l’esistenza di un ecosistema complesso e diversificato di batteri, lieviti e virus, che colonizzano la vagina in equilibrio dinamico tra loro e svolgendo innumerevoli funzioni importanti per l’ospite. Inoltre, oggi, si sa che il microbiota ha un’influenza rilevante anche per il benessere di altri organi dell’apparato urogenitale, come l’utero e la vescica urinaria, in precedenza ritenuti cavità sterili in condizioni fisiologiche, mentre sono dotati ciascuno di un proprio microbiota, di cui è importante tenere conto».

Il microbiota vaginale è composto da una popolazione di lattobacilli ampia e diversificata (se ne contano oltre 20 ceppi), con alcune famiglie più rappresentate di altre, in proporzione variabile da donna a donna. Tant’è che, sempre più spesso, si fa riferimento a “sotto-tipologie” di microbiota vaginale. 

«Alla luce delle conoscenze attuali, parlare di microbiota vaginale in generale è riduttivo», precisa la specialista, «perché è ormai evidente che ogni donna presenta una microflora vaginale unica, per composizione e abbondanza relativa dei diversi gruppi di microrganismi, che in aggiunta cambia nel corso della vita, principalmente in funzione degli equilibri ormonali, ma anche dell’età, dell’attività sessuale, della gravidanza, dello stato di salute, dell’igiene intima, dei farmaci assunti e dello stile di vita. Alla definizione del microbiota vaginale individuale, infatti, contribuisce non soltanto un’indubbia componente genetica, ma anche una molteplicità di fattori epigenetici e ambientali che possono avere un ruolo rilevante nel corso della vita. Il momento del parto può essere visto come un vero e proprio “passaggio di testimone” da madre a figlio di quel microbiota unico che è frutto della diade madre-bambino, a livello sia genitourinario sia intestinale, ma la modulazione di questo microbiota “esclusivo” prosegue nell’infanzia e per tutta la vita adulta. I cambiamenti del microbiota vaginale non sono necessariamente evidenti e non sempre si manifestano con segni e sintomi ginecologici di infiammazione o infezione (bruciore, arrossamento, secrezioni, cattivo odore, dolore alla minzione o nei rapporti sessuali ecc.). Gli studi più recenti hanno indicato che alcune alterazioni del microbiota vaginale possono essere clinicamente “silenti”, ma influenzare, per esempio, la possibilità della donna di concepire un figlio o di portare a termine la gravidanza senza problemi». 

«Oggi», aggiunge la prof.ssa Nappi, «si ritiene che il microbiota vaginale abbia un ruolo anche nel favorire o nel rendere meno probabile la trasmissione di alcune infezioni sessuali, oltre che nell’influenzare il rischio di sviluppare alcuni tumori femminili, in particolare quelli di tipo estrogeno-dipendente, come alcune forme di tumore della mammella, dell’endometrio o dell’ovaio. Ciò dipende dal fatto che il microbiota vaginale interagisce profondamente con l’ambiente endocrino della donna, cambiando dall’infanzia alla pre-adolescenza, dall’età fertile alla menopausa, con oscillazioni periodiche nelle diverse fasi del ciclo mestruale e modificazioni più profonde durante la gravidanza». 

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L’importanza dei lattobacilli

Tra i ceppi di lattobacilli vaginali finora identificati, alcuni sembrano rispondere in modo più sensibile alle oscillazioni ormonali e rivestire una maggiore importanza rispetto ad altri ai fini del mantenimento dell’equilibrio vaginale. 

«Lattobacillus crispatus», precisa la prof.ssa Nappi, «sembra essere il ceppo che più di tutti risente delle fluttuazioni estrogeniche, come testimoniato dal fatto che la sua abbondanza si riduce durante il flusso mestruale e i rapporti sessuali. È stato osservato che questo lattobacillo è maggiormente rappresentato nelle donne meno propense a sviluppare infezioni vaginali, in particolare di tipo ricorrente, come vaginiti o vaginosi: due disturbi frequenti nella popolazione femminile che, oggi, si sa essere frutto di disbiosi, ossia di eccessive alterazioni della composizione del microbiota vaginale, a discapito delle popolazioni di lattobacilli protettivi». 

«I lattobacilli (così chiamati in considerazione del loro metabolismo energetico, basato sulla fermentazione lattica del glucosio presente nell’epitelio vaginale)», spiega l’esperta, «rendono meno probabile la proliferazione e l’attecchimento di batteri potenzialmente patogeni per l’ecosistema vaginale attraverso diversi meccanismi: acidificano il pH vaginale (liberando acido lattico); riducono la superficie di adesione e i nutrienti disponibili per altri tipi di microrganismi; producendo batteriocine (una sorta di “antibiotici naturali” di origine microbica) e perossido di idrogeno (H2O2); modulano l’attività del sistema immunitario locale. Su queste basi, si è ormai concordi nel ritenere che le disbiosi vaginali siano l’aspetto su cui ci si deve focalizzare se si vogliono prevenire disturbi ricorrenti, come le colonizzazioni da Candida spp. recidivanti o le vaginosi batteriche sostenute da altri microrganismi patogeni, come la Gardnerella vaginalis».

L’asse microbiota intestinale-apparato urogenitale

Ambiente intestinale e vaginale sono caratterizzati da microbioti profondamente diversi e fisicamente separati, ma comunque in grado di dialogare tra loro, influenzandosi reciprocamente. 

«Il microbiota intestinale», sottolinea la prof.ssa Nappi, «è indiscutibilmente più ricco, vario e complesso di quello vaginale, dominato dai lattobacilli, e il suo equilibrio riveste un ruolo chiave nel proteggere la salute dell’ospite, sia a livello enterico sia a livello genitourinario. In particolare, alcuni batteri intestinali producono acidi grassi a catena corta (SCFA, Short Chain Fatty Acid) che contribuiscono a mantenere in equilibrio il microbiota intestinale fisiologico e a prevenire l’infiammazione e l’aumento di permeabilità della mucosa enterica (leaky gut), notoriamente in grado di favorire il passaggio di microrganismi negli strati più profondi, con effetti sfavorevoli sul piano infettivo e immunitario, anche a livello vaginale».

«Durante tutta la vita della donna», spiega la specialista, «un’altra via di interazione, coinvolge gli estrogeni, che modulano, oltre alla funzionalità genitourinaria, anche quella del microbiota intestinale. Quest’ultimo, a sua volta, è in grado di influenzare il metabolismo degli estrogeni, deconiugando gli estrogeni coniugati prodotti dal fegato, grazie all’enzima beta-glucuronidasi, e permettendone l’ingresso in forma libera nel circolo sanguigno. Tale evidenza ha portato a definire il concetto di “estroboloma”, corrispondente all’insieme dei batteri intestinali in grado di modulare il ricircolo enteroepatico di estrogeni, influenzandone i livelli ematici e la loro escrezione, con effetti che si ripercuotono sui processi estrogeno-dipendenti. In sostanza, ogni donna, in una determinata fase della vita, ha una certa quantità di estrogeni circolanti in grado di influenzare sia il microbiota vaginale sia quello intestinale, ma quest’ultimo è in grado di modulare gli effetti fisiologici degli estrogeni, rendendoli più o meno biodisponibili per il legame con i loro recettori nei vari tessuti, attraverso la deconiugazione. Di fatto, nel contesto dell’estroboloma, il microbiota intestinale si comporta come un organo endocrino».

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L’estroboloma: un organo endocrino modulabile

L’estroboloma risulta ancora più interessante alla luce della possibilità che il microbiota intestinale, attraverso questa via, sia in grado di influenzare la risposta delle donne alle terapie ormonali. 

«I dati che si stanno accumulando a riguardo», conferma la prof.ssa Nappi, «sembrano avvalorare questa ipotesi e aprono la strada a terapie ormonali a dosaggio personalizzato, in funzione delle caratteristiche del microbiota intestinale individuale. Ciò permetterebbe di ridurre sia il rischio di inefficacia sia quello di iperstimolazione estrogenica, caratterizzata da tensione mammaria, cefalea, nausea ecc., migliorando l’azione terapeutica e il benessere delle pazienti. In quest’ottica, modulare il microbiota intestinale attraverso una dieta più o meno ricca di fibre vegetali o con probiotici/prebiotici potrebbe coadiuvare la terapia estrogenica/estroprogestinica, mentre l’assunzione concomitante di altri farmaci che possono alterare la microflora intestinale dovrebbe indurre a riconsiderare i dosaggi ormonali somministrati». 

Gli studi sull’estroboloma sono ancora in fase preliminare, ma in futuro potrebbero fornire informazioni preziose anche per comprendere i meccanismi che correlano determinati stili dietetici al rischio di sviluppare tumori estrogeno-dipendenti. «In passato», spiega la specialista, «si pensava che gli zuccheri semplici o gli alimenti ricchi di grassi saturi e ad alto contenuto calorico incidessero sul rischio oncologico perché favoriscono l’incremento ponderale, aumentando la conversione periferica degli estrogeni nel tessuto adiposo. Questa teoria, oggi, va, almeno in parte, riconsiderata, tenendo conto del microbiota intestinale come organo endocrino». 

«L’estroboloma», aggiunge l’esperta, «potrebbe anche essere alla base delle diverse sintomatologie sperimentate dalle donne nelle varie fasi del ciclo mestruale. Il suo studio potrebbe, quindi, permettere di comprendere perché soltanto alcune soffrono di un’intensa sindrome premestruale, caratterizzata da disagi fisici e psicologici rilevanti, in relazione a come gli estrogeni dialogano con il sistema nervoso centrale, modulando il tono dell’umore, l’irritabilità premestruale, la sensibilità al dolore ecc. Sulla scorta di queste evidenze, si stanno sondando nuove strade per capire come probiotici e prebiotici, agendo favorevolmente sul microbiota intestinale, potrebbero influenzare il benessere psicofisico globale della donna, andando al di là del loro impiego convenzionale nella prevenzione delle infezioni vaginali o nel ripristino dell’equilibrio intestinale dopo una terapia antibiotica».

Probiotici intestinali e patologie uro-ginecologiche

Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i probiotici sono “organismi vivi e vitali in grado di apportare un beneficio alla salute dell’ospite, quando somministrati in quantità adeguata” (quantità che il Ministero della Salute indica essere pari ad almeno 1×109 cellule per almeno un ceppo batterico contenuto in una dose giornaliera di prodotto da assumere per bocca). Inoltre, per poter essere definiti probiotici, i microrganismi devono essere in grado di superare indenni l’azione lesiva degli acidi gastrici e dei sali biliari e di arrivare attivi nell’intestino, moltiplicandosi e colonizzandolo almeno temporaneamente. 

«Il razionale alla base dell’impiego dei prodotti probiotici somministrati per bocca nella cura delle patologie uro-ginecologiche è molto forte», commenta la prof.ssa Nappi, «anche se le linee guida più recenti e una rianalisi delle diverse linee guida da poco pubblicata sottolineano che i probiotici sono sicuramente importanti per la prevenzione e la cura delle cistiti, ma l’unicità del microbiota individuale fa sì che per alcune donne alcuni ceppi batterici potrebbero essere più utili che per altre. A prescindere dagli specifici microrganismi scelti caso per caso, dal momento che la persistenza nell’intestino dei probiotici assunti per bocca ha un carattere temporaneo, i preparati che li contengono devono essere utilizzati a cicli o in modo cronico, se si vuole ottenere una prevenzione efficace delle cistiti ricorrenti (definite come due episodi di cistite nell’arco di 6 mesi o almeno tre episodi nell’arco di un anno)».

Oltre ai probiotici, oggi, suscitano grande interesse i “simbiotici”, ossia preparati che combinano microrganismi probiotici e fibre prebiotiche. «I prebiotici», spiega l’esperta, «sono sostanze di origine vegetale non digeribili dall’uomo, ma in grado di supportare il nutrimento della flora batterica intestinale, promuovendo selettivamente la crescita dei microrganismi probiotici somministrati contestualmente per ottenere l’azione favorevole desiderata. I principali prebiotici in commercio comprendono i frutto-oligosaccaridi (FOS), l’inulina e lo Psyllium (usato anche come lassativo). I benefici che derivano dal loro impiego sono legati soprattutto alla regolazione dell’equilibrio della microflora del colon, con conseguente ottimizzazione della produzione di SCFA, particolarmente importanti per fare da barriera al passaggio dei batteri intestinali verso l’urotelio».

 D’altro canto, oltre al possibile passaggio trans-parete intestino-urotelio di batteri dannosi, non si deve trascurare il fatto che alla base delle cistiti ci sono anche componenti meccaniche, legate sia ai rapporti sessuali sia all’ipertonia del pavimento pelvico. «Per prevenire le cistiti ricorrenti in modo efficace», conclude la prof.ssa Nappi, «è necessario agire in modo combinato su più fronti: utilizzando probiotici e simbiotici, ma anche rispettando adeguate norme igieniche e comportamentali. Esistono, inoltre, sostanze da assumere per bocca dotate di azione batteriostatica e antinfiammatoria/antiossidante, nonché in grado di scardinare dall’epitelio vescicale i più comuni patogeni urinari, primo tra tutti Escherichia coli. Si tratta, in particolare, delle proantocianidine e di altre sostanze di natura immunitaria, che funzionano come veri e propri “vaccini naturali”, aiutando a prevenire le cistiti ricorrenti».