Nel vasto panorama dei cibi fermentati, spesso le nostre attenzioni sono catturate da specialità culinarie come il kimchi coreano, il tè kombucha, il kefir o lo yogurt.
Tuttavia, tendiamo a trascurare il pane, alimento che fa parte della nostra vita quotidiana e che possiamo considerare “vivo” grazie a un processo di fermentazione che ne definisce il carattere distintivo. Approfondiamo questo fenomeno e vediamo cosa dice la scienza.
Come si fa il pane?
L’impasto è una combinazione di farina o semola, acqua, sale e lievito. Dopo essere stati uniti dalla forza meccanica delle mani o di una macchina impastatrice, l’impasto riposa per diverse ore, durante le quali subisce un notevole aumento di volume grazie all’attività metabolica dei microrganismi.
Al suo interno, l’impasto si organizza come una rete con una struttura elastica nota come maglia glutinica. Qui troviamo distribuite molecole complesse di nutrienti, amidi e proteine, che vengono decomposte in molecole più semplici grazie agli enzimi attivati dall’acqua.
Mentre la scomposizione degli amidi in glucosio avviene rapidamente grazie agli enzimi amilasi, quella delle proteine in amminoacidi è un processo più lento, guidato da un enzima specifico.
Ed è qui che le cose si fanno interessanti. Esaminiamo ora le due principali metodologie per far lievitare l’impasto.
Tipi di lievito
Il lievito di birra
Il lievito di birra è composto esclusivamente da funghi microscopici – i lieviti – Saccharomyces cerevisiae, che metabolizzano rapidamente il glucosio, producendo anidride carbonica come sottoprodotto di scarto.
Questo gas si accumula all’interno della maglia glutinica, causando l’espansione dell’impasto. Il lievito di birra però non permette un’adeguata scomposizione delle proteine, rendendo l’impasto meno digeribile.
La pasta madre
Il lievito madre, al contrario, permette una decomposizione più completa delle proteine grazie alla presenza di una vasta gamma di lieviti e batteri. Quest’ultimi, in particolare, rallentano il processo metabolico, consumando parte del glucosio e producendo acidi come acido lattico, acido acetico e acido butirrico, che conferiscono al pane una maggiore conservabilità e qualità sensoriale. Inoltre queste sostanze, essendo prodotte dai microrganismi, sono a tutti gli effetti postbiotici con azione modulatoria del microbiota intestinale.
La produzione di anidride carbonica, inoltre, è più graduale e i tempi di lievitazione sono prolungati. L’utilizzo del lievito madre garantisce quindi un pane più saporito, più facilmente digeribile, e ricco di postbiotici.
Chi “abita” il lievito madre?
Il “lievito madre” è popolato da una comunità di microrganismi che fermentano i carboidrati e producono varie sostanze, i metaboliti, che finiscono nel prodotto finale. Esattamente come per il nostro intestino o gli altri distretti corporei, si può quindi parlare di microbiota.
Ma di quali microrganismi stiamo parlando? Si sono posti questa domanda i ricercatori della Tufts University, a Boston, e della North Carolina State University, che nel 2021 hanno analizzato il microbiota di 500 paste madri provenienti da Nord America, Europa, Australia e Asia.
Questo studio ha rappresentato il primo “atlante” intercontinentale del microbiota del lievito madre, offrendo una panoramica delle varietà di lieviti e batteri presenti in esso.
I risultati evidenziano la presenza di 75 specie batteriche e fungine diverse, ma i ricercatori hanno trovato una certa omogeneità tra le varie parti del mondo.
Contrariamente alla convinzione diffusa che il lievito madre dipende dalla regione di produzione, nei campioni di tutto il mondo è stata rilevata una netta prevalenza di Saccharomyces cerevisiae o di Lactobacillus sanfranciscensis.
Il campionamento ha dimostrato che la località non è rilevante per la sua composizione microbica. Eventuali differenze geografiche potrebbero esistere a livello di ceppo.
Il limitato impatto della geografia nel determinare la diversità del microbiota dei lieviti madre potrebbe essere spiegato in parte dalla cultura della condivisione anche su grandi distanze: questo movimento su scala globale, secondo gli autori, potrebbe aver effettivamente omogeneizzato la diversità microbica, cancellando le eventuali differenze regionali.
Un altro fattore chiave che contribuisce a questa omogeneizzazione è la distribuzione commerciale della farina, che rappresenta una delle principali fonti di nuovi microrganismi. La farina viene spesso trasportata su grandi distanze prima di essere utilizzata nella produzione del pane, il che significa che i microrganismi in essa presenti possono essere diffusi in aree geografiche molto distanti.
Questo processo contribuisce alla mescolanza delle popolazioni microbiche e alla riduzione delle differenze regionali che potrebbero altrimenti emergere, creando un pool comune di “microbi da panificazione” in tutto il mondo.
Queste scoperte hanno profonde implicazioni per la comprensione della diversità microbica nei pani fermentati e nella produzione alimentare in generale. Dimostrano anche l’importanza di considerare non solo la geografia, ma anche i flussi di movimento delle materie prime e dei prodotti alimentari quando si valuta la diversità microbica e la sua influenza sui prodotti finali.
Pane con pasta madre
Spesso si sostiene che il pane di pasta madre abbia un “migliore profilo nutrizionale” o sia “più digeribile” rispetto al pane tradizionale. È davvero così?
Il dibattito sulle qualità salutistiche del pane prodotto con pasta madre è fonte di un acceso dibattito e molti studi hanno indagato sul tema. Uno di questi, in particolare, ha voluto fare chiarezza esaminando tutta la letteratura scientifica a disposizione.
Le osservazioni suggeriscono che la fermentazione prolungata della pasta madre produce una significativa degradazione dei FODMAPs (oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli) nell’ordine del 50-85%. Questo è di particolare interesse per i pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile (IBS), in quanto in grado di mitigare la formazione di gas e il discomfort intestinale correlato.
La fermentazione della pasta madre offre anche opportunità per la produzione di alimenti adatti a pazienti con disturbi legati al grano, come la celiachia o la sensibilità al grano non celiaca. Per esempio, attraverso la panificazione con pasta madre è possibile produrre prodotti a base di avena per i pazienti affetti da celiachia o di farro per coloro che soffrono di sensibilità al grano non celiaca.
Tuttavia, è importante sottolineare che tali conclusioni devono ancora essere supportate da test e studi clinici sull’uomo per confermarne l’efficacia e la sicurezza. Di conseguenza, le autorità sanitarie dell’Unione Europea (EFSA) e degli Stati Uniti (FDA) finora non hanno dato l’ok ad alcuna indicazione sui benefici per la salute del pane di pasta madre.
Infine, la fermentazione della pasta madre potrebbe promuovere la salute della microbiota intestinale e vi sono evidenze consistenti che migliori la qualità sensoriale e la consistenza del pane, oltre a prolungarne la conservabilità e ridurre il rischio di deterioramento, contribuendo quindi alla sicurezza alimentare.
Anche se i ricercatori hanno rivelato che la fermentazione della pasta madre da sola non porta a benefici diretti e misurabili per la salute, è possibile che la somma dei cambiamenti nella struttura degli ingredienti e nei prodotti metabolici abbia effetti indiretti positivi sulla nutrizione umana e sul benessere dei consumatori.
In conclusione, mentre la ricerca continua a esplorare i potenziali benefici per la salute del pane di pasta madre, è importante mantenere uno sguardo critico e basato sulle prove scientifiche.
Solo attraverso approfonditi studi clinici e valutazioni accurate possiamo determinare con certezza se il pane di pasta madre offra effettivamente vantaggi tangibili per la nostra salute e il benessere generale.