La pancia che si gonfia dopo i pasti, tanto da ritrovarsi a volte addirittura con una taglia in più. La colpa, in alcuni casi, è di particolari cibi che fanno parte della categoria dei FODMAP, acronimo di fermentable oligo-, di-, and monosaccharides, and polyols (oligo-, di- e mono-saccaridi e polioli fermentabili), ossia zuccheri o carboidrati a catena corta che vengono fermentati rapidamente dai batteri intestinali.
Il ruolo di questi alimenti è sempre di più oggetto di studio: una dieta a basso contenuto di FODMAP sembra migliorare i sintomi in chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile, una condizione caratterizzata da disturbi come dolore e gonfiore addominale, stitichezza o diarrea, che possono durare anche settimane e che si alternano a periodi di benessere. Eliminare (o quantomeno ridurre) i cibi contenenti FODMAP ha fatto osservare addirittura nel 70% dei pazienti un miglioramento significativo del dolore e della distensione addominale. Sono benefici così evidenti che le raccomandazioni per una dieta a basso contenuto di FODMAP sono state incluse nelle linee guida della British Dietetic Association nel 2010 e nel 2011 e nelle linee guida australiane per il trattamento della sindrome dell’intestino irritabile.
Attenti a quei cinque
Le tipologie incriminate di FODMAP sono cinque:
- il fruttosio, contenuto principalmente nella frutta, come mele, pere, anguria, nella verdura quali asparagi, nel miele, nei piselli, nel vino bianco, nel mais
- fruttani, presenti nel grano, nella segale e nel farro, nell’aglio e nella cipolla, nei carciofi, nelle nocciole e nei pistacchi
- galattani, presenti nei legumi (fagioli, lenticchie, ceci, piselli, soia) e nel caffè
- polioli, che si trovano nelle prugne, nei funghi, nel cavolfiore, nelle mele, nelle pere e nell’avocado
- lattosio, presente nel latte e nei suoi derivati.
Escluderli? Non del tutto
I FODMAP non vanno però demonizzati perché una dieta che ne è povera può comportare conseguenze sul microbioma intestinale, l’insieme di microrganismi che popola la mucosa dell’intestino in un rapporto di simbiosi con l’organismo che li ospita. Questi composti hanno infatti la capacità di promuovere la crescita di molte specie batteriche benefiche per l’organismo. Sul piatto della bilancia vanno quindi messi da una parte il sollievo dai sintomi intestinali e dall’altra il rischio che si alteri l’equilibrio del microbiota.
Una soluzione, ad esempio, è quella di capire qual è la propria dose di tolleranza agli alimenti FODMAP perché non è la medesima per tutti. Una prova, questa, che va comunque effettuata sotto la guida di uno specialista.
Sì anche all’integrazione con probiotici, come ha dimostrato uno studio condotto su pazienti con sindrome del colon irritabile: la somministrazione di un probiotico multiceppo ha aumentato il numero di specie di Bifidobacterium rispetto al placebo, e potrebbe essere somministrato ai pazienti che seguono una dieta a basso contenuto di FODMAP per ripristinare adeguati livelli di questi batteri.