Gli inibitori di pompa protonica (PPI) vengono somministrati per ridurre un’eccessiva acidità gastrica. Affiancare alla terapia farmacologica un regime dietetico e uno stile di vita sano può aiutare a ottenere maggiori benefici. Ecco quali sono gli alimenti da mettere in tavola o da evitare durante la terapia con PPI.  

I gastroprotettori sono preziosi alleati di chi soffre di reflusso gastroesofageo. Il loro obiettivo è ridurre l’eccessiva acidità gastrica proteggendo così lo stomaco dai disturbi che può causare.

Fra i più utilizzati sono inclusi gli inibitori di pompa protonica (proton pump inhibitors, PPI), farmaci che da oltre 30 anni dimostrano la loro efficacia e sicurezza.

Tuttavia, per la cura del reflusso gastroesofageo non bisogna sottovalutare l’importanza della dieta; associare uso di gastroprotettori e alimentazione adeguata aiuta, infatti, a ottenere maggiori benefici dalla terapia farmacologica.

Cos’è il reflusso gastroesofageo

Il reflusso gastroesofageo si verifica quando i succhi gastrici risalgono dallo stomaco all’esofago, causando sintomi come bruciore di stomaco, rigurgito acido e dolori toracici.

Questi sintomi possono aggravarsi di notte o quando ci si corica. La condizione può evolvere in malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) se i sintomi sono frequenti e gravi, influenzando anche la gola e le vie respiratorie.

La diagnosi di MRGE può richiedere esami strumentali come manometria esofagea, radiografia, endoscopia, biopsia, e il monitoraggio del pH. Il trattamento include modifiche alimentari, come mangiare pasti meno abbondanti e evitare cibi grassi e irritanti, e può includere farmaci come antiacidi e procinetici.

Complicazioni del reflusso possono includere danni alla mucosa esofagea, come l’esofagite e l’esofago di Barrett, una condizione precancerosa. Prevenire il reflusso implica adottare un’alimentazione adeguata, mantenere un peso sano, evitare abbigliamento stretto, e non coricarsi subito dopo aver mangiato. In casi gravi o persistenti, è consigliato consultare un medico.

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Cosa sono gli inibitori di pompa protonica?

Gli inibitori di pompa protonica sono tra i primi cinque farmaci più utilizzati al mondo. La loro azione terapeutica consiste nel sopprimere la produzione di acido cloridrico (HCl) da parte delle cellule della mucosa gastrica attraverso l’inibizione della cosiddetta pompa protonica (da cui prendono appunto il nome).

Per questa ragione, i PPI sono normalmente prescritti per tutti i disturbi causati da un eccesso di acido cloridrico, come ulcere, gastrite e malattia da reflusso gastroesofageo. Sono inoltre usati anche per prevenire ulcere da stress o in caso di terapia con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

Si tratta infatti di condizioni in grado di danneggiare la mucosa gastrica e di indurre sintomi come bruciore e dolore di stomaco, risalita di acidi nell’esofago ecc. Proprio per la loro capacità di proteggere lo stomaco da questi fastidi, i PPI vengono comunemente chiamati “gastroprotettori”.

Per quanto i PPI siano considerati farmaci sicuri perché non gravati da importanti effetti collaterali, è stato dimostrato che il loro impiego (specie se protratto nel tempo) può determinare la comparsa di uno stato di disbiosi, ovvero un’alterazione della composizione del microbiota presente nello stomaco e nel primo tratto dell’intestino, che può causare diversi disturbi.

Grazie ad un’analisi pubblicata sul World Journal of Gastroenterology che prende in esame 56 studi, per un totale di 356.683 pazienti, è stato possibile dimostrare che tra chi ha fatto uso di PPI si registra un aumento dell’incidenza di diarrea associata a Clostridium difficile.

L’aumentato rischio di andare incontro a disbiosi è in gran parte dovuto all’aumento del pH gastrico. Infatti, l’ambiente acido dello stomaco rappresenta una fisiologica barriera tra i batteri che abitano a livello del cavo orale e dell’esofago (e che qui dovrebbero rimanere confinati) e l’intestino. Inoltre, l’abbassamento dell’acidità gastrica contribuisce a far aumentare anche il pH del primo tratto dell’intestino, il duodeno, sfavorendo la sopravvivenza di batteri cosiddetti “acidofili” (come per esempio i lattobacilli) a vantaggio di specie potenzialmente patogene.

L’assunzione di PPI è stata infatti associata anche alla SIBO (dall’inglese small intestinal bacterial overgrowth), una condizione caratterizzata da un’aumentata proliferazione di batteri nel primo tratto dell’intestino e associata a sintomi come gonfiore addominale, diarrea, steatorrea (emissione di feci untuose), flatulenza, dispepsia (difficoltà nel digerire) e perdita di peso.

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Gastroprotettori e cibo: l’importanza di frutta e verdura

I gastroprotettori che inibiscono la produzione di acido nello stomaco possono influenzare l’assorbimento di alcune sostanze presenti nel cibo, come per esempio vitamina B12 e ferro.

Inoltre, l’assunzione di PPI è stata associata alla carenza di magnesio e a un aumento del rischio di fratture, che viene attribuito a una riduzione dell’assorbimento del calcio.

Ecco perché è importante, durante una terapia con PPI, mettere in tavola cibi ricchi di vitamine e minerali. La B12, per esempio, è presente in diversi alimenti di origine animale (carni rosse e bianche, pesce, latticini e uova) e una dieta ricca di frutta e verdura aiuta a fare il pieno di tutti i minerali necessari all’organismo. Tuttavia, in caso di assunzione di PPI potrebbe essere necessario far affidamento agli integratori alimentari, che dovrebbero includere anche la vitamina D per proteggere la salute delle ossa.

C’è poi un altro motivo per assumere frutta e verdura in abbondanza allo scopo di contrastare, o prevenire, il reflusso gastroesofageo: questo disturbo può essere causato anche dal malfunzionamento della valvola che separa l’esofago dallo stomaco, e l’aumento dell’assunzione di fibre (di cui frutta e verdura sono importanti fonti) aiuta a ripristinarne la funzionalità.

Gastroprotettori e dieta: l’alimentazione consigliata

Al di là degli effetti dei PPI sull’assorbimento dei nutrienti, gastroprotettori e cibo sono legati fra loro anche perché l’alimentazione quotidiana può influenzare la comparsa dei sintomi del reflusso.

In particolare, il sale e gli alimenti che ne sono ricchi, i cibi grassi, quelli acidi o piccanti sono stati tutti associati alla comparsa del reflusso o al peggioramento dei suoi sintomi.

Per lo stesso motivo, altri alimenti da evitare sono:

  • fritti
  • alimenti in scatola
  • pizza
  • patatine confezionate
  • carni grasse e loro derivati
  • formaggi
  • pomodoro e salse a base di pomodoro
  • agrumi
  • cioccolato
  • pepe e peperoncino
  • menta.

Anche alcune bevande dovrebbero essere consumate il meno possibile: quelle contenenti caffeina (caffè, tè, bibite), gli alcolici e le bevande gassate.

Meglio preferire cibi più leggeri e pasti meno abbondanti, a cui abbinare l’assunzione di probiotici. Si tratta di microrganismi per i quali è stata dimostrata la capacità di resistere al passaggio nell’ambiente gastrico e di favorire il ripristino di una corretta composizione della flora (o microbiota) gastrointestinale, stimolando la proliferazione di “batteri buoni” a discapito di quelli patogeni. Alcuni studi hanno in particolare dimostrato che una supplementazione con probiotici può aiutare a prevenire alterazioni del microbiota gastrico durante il trattamento con PPI.

Infine, non bisogna dimenticare l’importanza di altri aspetti dello stile di vita: meglio non fumare, praticare una regolare attività fisica moderata e, in caso di obesità, perdere peso.

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Gastroprotettori e probiotici

Per ristabilire un corretto equilibrio tra i microbi che popolano il tratto gastrointestinale si sono rivelati molto utili i probiotici, che vengono definiti dall’Organizzazione mondiale della sanità come «microorganismi vivi e vitali che si dimostrano in grado, una volta ingeriti in adeguate quantità, di esercitare funzioni benefiche per l’organismo».

Vista l’importanza di mantenere (o ristabilire) una corretta composizione del microbiota intestinale durante il trattamento con PPI, alcuni studi hanno valutato la possibilità di abbinare a una terapia con gastroprotettori anche l’assunzione di probiotici.

Per esempio, in un recente studio guidato da Qing-Hua Sun, del Peking University Third Hospital, a Beijing (Cina), e pubblicato su World Journal of Gastroenterology, sono stati presi in esame 67 pazienti con esofagite da reflusso, che sono stati suddivisi in due gruppi: a tutti i partecipanti allo studio è stato somministrato un gastroprotettore, ma solo in uno dei due gruppi è stato aggiunto alla terapia anche un probiotico.

Dopo 4 settimane dalla fine del trattamento, che è durato 8 settimane, è stata valutata l’intensità dei sintomi gastrointestinali e i pazienti sono stati sottoposti ad alcuni esami. Dai risultati ottenuti, è emerso che la contemporanea somministrazione di PPI e probiotici riduce significativamente l’incidenza di SIBO, contribuisce a migliorare la sintomatologia e prolunga il tempo tra un episodio acuto e l’altro.

Alla luce delle attuali conoscenze, dunque, la co-somministrazione di PPI e probiotici sembra essere una valida strategia per migliorare l’azione terapeutica di questi farmaci, contrastando allo stesso tempo la comparsa degli effetti collaterali.

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